Redazione | Per l’una avranno preso spunto – molto probabilmente – dall’opera di Enrico Job in onore del Papa Giovanni Paolo II che si trova a Cevo, nel bresciano. Nell’altra più semplicemente hanno immaginato il drappo verde retrostante di uno degli altari che vengono utilizzati per le processioni isolane. Tant’è che l’altro ieri in via Cesare Battisti, quasi in prossimità del cimitero, qualcuno ha deciso di sistemare una croce (stile moderno) in legno. Tre metri di altezza per un metro e mezzo di larghezza. Murali e tavole. La croce era montata sul cancelletto delimitativo dei “defunti” cassonetti interrati e da su una strada molto frequentata dai procidani, essendo la parallela dell’arteria principale. A guardarla bene sembrava anch’essa una tomba con la croce alla base. Una delle tanti che decine di metri più avanti si trovano normalmente nel camposanto isolano. Sulla parte superiore un cartello a mò di intestazione con il severo monito “Ricordiamoci che dobbiamo morire”. Che a pochi passi dal camposanto deve aver costretto i maschietti a toccarsi le parti intime. E le femminucce a lasciare il volante ed afferrare un corno, un gobbo o un amuleto. Quali siano state le reali intenzioni del novello Francesco di Sales sono di difficile comprensione. Il sole forte di questa di queste giornate non sembra aiutare a chiarire i perché di questo gesto inconsueto. Incuriositi i tanti turisti e frequentatori della famosa spiaggia del postino che per tutta la giornata di “esposizione” non hanno fatto altro che scattare foto ricordo di questo totem cristiano improvvisato. Selfie compresi. E siamo sicuri che la cosa sarebbe continuata a lungo se non fosse stata rimossa ieri. Ovviamente i residenti della zona non hanno visto e sentito nulla, almeno fino a quando l’altro ieri non hanno aperto le finestre e notato il crocifisso. “ Sono rincasata tardi – dice Filomena che abita proprio nelle vicinanze – erano le 2 e mezza e ancora non avevo notato nulla. L’avranno posizionata subito dopo. A me per l’intera giornata di esposizione ha messo una certa angoscia quella croce – e conclude – meno male che l’hanno rimossa.”
Di tenore diverso l’altra altare improvvisata in Via Flavio Gioia. Questa volta di ispirazione Mariana e più precisamente con foto della Madonna di Fatima e una del Cristo redentore. Al centro un improvvisato porta fiori con margherite e gelsomini. E nella fessura del portalettere – di quello che poi è un portone di ferro battuto – una prece in formato A4. Una specie di dicola votiva che quotidianamente è metà di molti pellegrini e fino a pochi giorni fa dei tantissimi alunni della scuola media che due volte al giorno le passavano davanti. Ludovica – che tra qualche giorno sosterrà gli esami di terza – è una di questi e ci ha confidato che più volte, ha rivolto una preghiera e posto un fiorellino. “Sono sincera mi è capitato quando avevo un compito in classe, e vi dirò che visto il risultato ( positivo ) ho invitato anche i miei amici a farlo”. Di edicole votive “ufficiali” l’isola ne è piena. Ma questa nuova relazione con l’aldilà e con i segni del sacro è qualcosa di profondo e complesso che strappa dapprima un sorriso ma poi fa riflettere.
“Prochyta semper cristiana fuit” scriveva Papa Gregorio Magno nel ‘595 al duca Maurenzio. Già allora qualcosa lasciava intendere la sconfinante fede e dedizione dei procidani alla religione Cristiana.