Redazione | Diciannove anni son trascorsi da quel terribile sabato 18 novembre del 1995, ma il ricordo di Nina Scotto di Perrotolo, infermiera procidana e di Antonio Raimondo, ispettore capo della Polizia di Stato, resta intangibile. La loro fu una fulgida prova di grande generosità pagata al caro prezzo della vita, una prova di perenne monito per tutti noi.
La cronaca di quella giornata: Un giovanotto si ustiona alle gambe e all’addome lavorando nell’officina di un parente ; viene portato al pronto soccorso dell’isola dove il medico di servizio, riscontrate le ustioni di primo e secondo grado, ritiene che le stesse non siano curabili in quel nosocomio per cui giudica indispensabile trasportare l’ustionato al centro specialistico del Cardarelli di Napoli.
Dal pronto soccorso di Procida viene chiesta alla Capitaneria di Porto una motovedetta per il trasporto a Napoli del ferito; il comandante, con il mare mosso e vento “forza otto”, valuta la situazione e dichiara di non poter mettere a repentaglio la sicurezza degli uomini per cui rifiuta.
Il medico allora si mette in contatto con la Prefettura di Napoli alla quale chiede soccorso d’urgenza, facendo presente l’imminente pericolo di vita che sta correndo l’ustionato.
A questo punto occorre precisare che il ferito era grave, ma non certo in pericolo di vita. Tant’è che il giovane si allontanerà con le sue gambe dopo la tragedia dell’elicottero: sarà imbarcato solo nel pomeriggio su un traghetto di linea e ricoverato all’ospedale Cardarelli.
Torniamo all’urgenza rappresentata alla Prefettura che, chiamata in causa, smista la richiesta al VI° Reparto Volo della Polizia di stanza a Capodichino.
In questo Reparto sono presenti “piloti d’allarme” e più di un equipaggio. La richiesta arriva a Roberto Palossi, agente scelto pilota. Palossi vuole valutare bene la situazione prima di partire: il vento si è rafforzato in modo preoccupante e lui vuole maggiori informazioni dal servizio meteo sulla possibilità di atterraggio in totale sicurezza. Inoltre c’è da tenere presente che il Reparto ha esperienza di atterraggi ad Ischia, quelli a Procida sono delle rarità.
Palossi valuta tutti gli elementi, quando viene “scavalcato” dal commissario capo Grabiella Pompò che riassegna la missione a Leonardo Baia, un pilota che è abituato a decollare sempre e comunque.
Sull’elicottero “Pol 51” viene montata una barella di soccorso che occupa anche il posto del secondo pilota: per la missione di soccorso perciò viene impiegato un solo pilota ed uno specialista: Antonio Raimondo.
Raimondo non è certo un novellino, ha venti anni di servizio sugli elicotteri ed anche un brevetto di pilota d’aereo.
Anche Raimondo, come Palossi, è preoccupato per il vento fortissimo. Anche se non spetterebbe a lui, chiama l’ufficio meteo: su Napoli il vento spira a 40 km/h con raffiche repentine fino ad 80 km/h ed anche più. E su Procida? Sulle condizioni del vento nell’isola non si può sapere nulla perché sull’isola manca un anemometro.
Antonio Raimondo è contrario ad effettuare la missione e lo dice ad alta voce mentre si sposta nei vari locali del Reparto. Alla fine cede. Sale sull’elicottero. Da Capodichino ad Ischia, di solito, in condizioni normali, occorrono dieci minuti ma quel giorno, per raggiungere la più vicina Procida, causa il vento ne occorsero di più.
E così l’elicottero decolla ed arriva a Procida, scendendo lentamente e di sbiego sul campo sportivo dell’isola, ormai ricoperto d’acqua; rimane con le pale in movimento e il freno, apparentemente, non viene tirato. D’altra parte, tenere il rotore in funzione dopo l’atterraggio è la procedura normale adottata dal servizio elicotteri della Polizia, anche con il modello in questione, le cui pale scendono più in basso di quelle di altri esemplari in dotazione.
Solo dopo l’incidente di Procida arriveranno le disposizioni in forza delle quali si deve spegnere il motore dopo l’atterraggio.
Antonio Raimondo scende, parla con il medico contornato da una certa folla, forse troppa.
Sei o sette persone si avvicinano all’elicottero con la barella. Ci sono difficoltà ad imbarcare la lettiga con il ferito dentro il velivolo, forse per le dimensioni, o forse per il vento abbastanza forte. Ambedue gli sportelloni dell’elicottero sono aperti; improvvisamente il velivolo comincia a ballare sulle tre ruote. Subito dopo un rumore strano, come di una raffica di mitra e poi le urla. Sia Antonio che Gaetanina vengono falciati. Tutti fuggono ritenendo che il velivolo stia per scoppiare.
Fatalità? Errore del medico? Errore del pilota? Errore di un barelliere? Difetto del veivolo? Faciloneria di chi ha deciso di effettuare, comunque, la missione?
Come di consueto fu nominata una Commissione di indagine che affiancò l’inchiesta della magistratura. L’Amministrazione della Polizia ebbe un “sua verità” che, nelle linee essenziali, apparve nella rivista ufficiale del ministero dell’Interno: “Improvvisamente, per cause imponderabili, appena sistemato il ferito a bordo, si innescava un fenomeno di risonanza con violentissimi movimenti sussultori ed oscillatori; le pale non sono più risultate governabili dai comandi e Raimondo, preoccupandosi di mettere in salvo le persone rimaste vicine al mezzo, veniva colpito alle spalle”.