Redazione | Ha del clamoroso quello che ha rappresentato la sentenza evasa dalla quarta sezione civile della corte di appello di Napoli n° 2067/2015. In poche parole Vivara torna nella disponibilità degli eredi dell’avo procidano Domenico Scotto La Chianca. Facciamo un passo indietro per tentare – carte alla mano – di capire come sono andati i fatti. I fratelli Biagio e Domenico Scotto La Chianca, gli ultimi proprietari privati, gestirono Vivara come azienda agricola fino agli anni Trenta. Alla loro morte, l’isola, nel 1940, divenne per lascito, proprietà della Fondazione Albano Francescano. Da atto testamentario in un articolo e comma ben specificato, il de cuius vincolò la scelta di lasciare tutti i suoi beni all’ospedale Civico con la condizione che detto patrimonio non andasse convertito in altre opere di beneficenza e che si modificasse lo statuto dell’epoca con l’ingresso nel CDA di sei rappresentanti della comunità procidana di nomina del Podestà. Atteso che il patrimonio immobiliare dell’ente è sempre stato frutto per i tre quarti dei lasciti della famiglia Scotto La Chianca, aver disatteso una delle volontà testamentaria è stato un atto gravissimo che ha permesso agli eredi di rivendicare il patrimonio. Su questo punto è intervenuto proprio l’ex presidente Cascone: “Le motivazioni di questa causa – spiega Mariano Cascone, avvocato e presidente della Fondazione Albano Francescano dal 2008 al 2013 – sono dovute al fatto che, secondo la tesi degli eredi, le clausole della donazione originale del 1940 non sono mai state del tutto adempiute”.
Sull’accaduto incide proprio una delle volontà disattese: “ E’ vero. Cosa mai avvenuta – prosegue Cascone – Io stesso convocai una riunione nel 2012 del cda per ottemperare a questa volontà testamentaria. Ma si concluse con un solo voto a favore, il mio, seguito addirittura da relativa richiesta di mie dimissioni, solo perché avevo osato proporre la questione”. L’incidenza che avrebbe sul piano gestionale l’ingresso di sei rappresentanti del comune all’interno del CDA di fatto avrebbe posto fine alla “maggioranza Clerico-Francescana” attuale. Ed è questa forse la grande paura del clero locale e dei Francescani che non meno di tre anni fa – come dicevamo – su una proposta di delibera di adeguamento dello statuto votarono contro e chiesero addirittura le dimissioni del Presidente Cascone. A dire il vero lo stesso consiglio comunale nel 2000 approvò un ordine del giorno con il quale all’unanimità chiedeva al Sindaco dell’epoca Avv. Luigi Muro e ai propri rappresentanti nel Cda e di farsi carico della questione da un punto di vista giuridico. Non se ne fece nulla perché la miopia di ex rappresentanti nel Cda smontarono l’assunto ponendolo da un punto di vista politico.
Se questo è uno dei due punti dolenti (dove si poteva intervenire), l’altro punto impugnato dagli eredi è quello che viene definito nella stessa sentenza quasi come un cambio di volontà testamentaria: “L’attività oggi svolta dall’ ospedale civico Albano francescano è inequivocabilmente indirizzata ai suoi anziani, non necessariamente indigenti, categorie di soggetti ben diversa da quella tenuta presente dal dottor Lachianca al tempo del lascito testamentario”. I due fratelli Diana facendo leva su questo punto già nell’ottobre del 1999 citavano in giudizio l’ospedale Civico Albano francescano ritenendo che non fosse piu’ rispettata la volontà testamentaria. Il medico procidano morto nel 1940 infatti – come dicevamo – vincolò la scelta di lasciare tutti i suoi beni all’ospedale Civico con la condizione che detto patrimonio non andava convertito in altre opere di beneficenza. Gli avvocati hanno evidenziato che già dal 1981 l’ospedale avesse abbandonato l’attività ospedaliera per trasformarsi in casa di riposo di corda per anziani a pagamento, quasi un albergo.
Sull’argomento è intervenuto anche l’attuale presidente della Fondazione Emilia Carannante: “Il Consiglio di amministrazione dell’Ospedale Albano Francescano sta già adottando le iniziative necessarie per attivare – contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha definito in sede di rinvio il giudizio contro gli eredi DIANA – la proposizione di ricorso per Cassazione, con richiesta di sospensione ai sensi dell’art. 373 c.p.c”
Anche il Sindaco Vincenzo Capezzuto si è espresso sull’accaduto: “Pur non avendo diretta legittimità in una causa del genere, riteniamo opportuno – dichiara – intervenire contestando la richiesta degli eredi. L’ente Albano Francescano avrebbe dovuto e secondo noi ancora può, resistere in maniera più forte, eccependo almeno l’intervenuta usucapione del bene. In ogni caso il Comune di Procida utilizzerà ogni mezzo consentito dalla legge per far si che i beni restino nella disponibilità della Fondazione”