Sebastiano Cultrera | Le parole sono belle. Le parole hanno un senso importante nella nostra vita, anche quelle dette senza pensarci. Le parole, spesso, preludono o annunciano azioni, talvolta di grande rilevanza collettiva. Le parole contano. Veniamo quindi ad alcune parole abusate o fraintese che stanno arricchendo il dibattito di questa torrida estate isolana. La prima è BENE COMUNE. Già abbastanza abusato in campagna elettorale continua ad essere ampiamente diffuso in una accezione particolare ed impropria. Di norma viene fraintesa con il concetto di Beni Comuni, cioè del patrimonio pubblico, collettivo, che pure è opportuno tutelare e difendere, ma come dato strumentale, non come Fine. Il Bene comune, almeno quello che viene introdotto da S. Tommaso d’Aquino, è il fine dell’attività politica, cioè l’obiettivo al quale le leggi (e i regolamenti e, a cascata gli atti amministrativi) devono ispirarsi per essere giusti ed efficaci. E’ “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente“ secondo la costituzione pastorale Gaudium et Spes. Per farla breve cerco di spiegarmi meglio con un mezzo paradosso. Se si dovesse (per un qualunque motivo) sacrificare uno o più dei Beni Comuni al fine di perseguire (in un disegno virtuoso) il BENE COMUNE, si tratterebbe di una azione lecita e auspicabile. Se, viceversa, al fine di difendere uno o più tra i Beni Comuni si dovesse mettere in pericolo o solo scalfire le condizioni e lo sviluppo del BENE COMUNE sarebbe un atto ingiusto e assolutamente inopportuno.
L’altra parola “di moda” è DEMOCRAZIA PARTECIPATA. Sembra una tautologia (la democrazia contiene IN SE’ il concetto di partecipazione), ma risuona spesso, soprattutto nelle campagne elettorali. Poi, inevitabilmente, è portata ad andare in collisione con il Principio di Realtà. Nasce, probabilmente dal fatto che le istituzioni appaiono (o effettivamente sono) distanti dalle istanze quotidiane dei cittadini. Questo è il motivo per cui alcune istituzioni (con opportuni regolamenti) possono dare ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione. Tutto bello! Tutto funzionante? Tutt’altro. La cosa non funziona mai nella maniera piena e compiuta e ciascuno interpreta il concetto come crede. Il problema risiede nel concetto stesso di partecipazione, sul quale si è tutti d’accordo: ma di chi? a quali soggetti si rivolge la partecipazione? E’ curioso che su un aspetto così cruciale le risposte dei sostenitori della democrazia partecipativa siano spesso sfuggenti. La risposta canonica è “tutti i cittadini”, ma – detta così – si tratta di una risposta tanto generica quanto disarmante. E’ ovvio che i cittadini che parteciperanno non saranno mai tutti, ma solo una parte (una piccola parte) e ciò potrà determinare squilibri di ogni genere nel contenuto delle decisioni.
La terza parola che sento nominare ripetutamente “invano” è POLITICA, ma sempre nel senso della negazione di essa. Alcuni mi sembrano pericolosamente avviati ad emulare Pietro che andava in giro a rinnegare Gesù. Insomma ti candidi per “CAMBIARE POLITICA” e ricevi anche il consenso per farlo. Adesso DEVI mettere in campo le tue idee e le tue scelte POLITICHE. Dire, ad ogni piè sospinto che “non si tratta di una scelta politica” oppure “non stiamo facendo politica” o (quel che è peggio) “la politica non c’entra” in una sorta di negazione tassativa non è solo sbagliato, ma costituisce un messaggio sbagliato e fuorviante: a quei cittadini che hanno votato per una “Nuova Politica” non puoi proporre una (nuova ma vecchia) ritirata della responsabilità politica su tutta la linea. E questo è un peccato veniale quando non si ha la forza (o forse il carattere) di rivendicare a testa alta le scelte (anche minime) di politica culturale (che tra l’altro sembrano, finora, tutt’altro che disprezzabili). Peggio è non sottolineare sempre nella maniera opportuna la portata politica delle scelte in termini di mobilità. Ancora peggio (e questo è grave) è cercare di derubricare a fatti personali dove “La politica non c’entra per nulla” degli episodi che sono per sua natura eminentemente politici: due dimissioni contemporanee di due consiglieri comunali; una delle quali riguardante la consigliera seconda più votata della compagine. Forse sono intervenuti fatti completamente ignoti solo 100 giorni fa (ma non sembra) oppure delle due l’una: si è fatto un errore a candidarli o sono cambiate le condizioni politiche per la loro partecipazione al progetto (il pietoso transfert cardiologico del cuore sempre nel progetto è chiaro a tutti). E’ una vicenda che è eminentemente POLITICA che merita risposte POLITICHE e non personali. Ciò in virtù del criterio della DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA (e del rapporto tra elettore ed eletto) che è ben più importante di tutte le belle parole sulla partecipazione. Basterebbe rendere conto dei voti ricevuti invano e delle aspettative disattese (se lo fossero) nel sacro rapporto di rappresentatività democratica. Basterebbe dire che la POLITICA (che cammina sulle gambe delle persone) non cambia nella sostanza ma si adegua con persone ugualmente (se non di più) efficaci. Altrimenti si autorizza, di fatto, ogni ipotesi e si rende immaginabile qualsiasi (inconfessabile) retroscena. Basterebbe non cercare di nascondersi, e non rimuovere dal proprio vocabolario proprio la parola POLITICA.