Sebastiano Cultrera | La strada per un corretto sviluppo dell’isola di Procida è segnato soprattutto da un concetto: recupero dell’Identità! Si potrebbe molto argomentare (e molti argomenti sono stati già messi in campo) rispetto al miglior percorso in quella direzione, e rispetto alla autenticità della meta da raggiungere. Ma nessuno può negare che il Futuro di Procida sarà più o meno efficace, quanto più sarà in armonia con il proprio passato.
Tra le figure del passato che nell’isola non sono ancora state degnamente valorizzate c’è, a mio modo di vedere, la più grande di tutti: Giovanni da Procida.
Per la maggior parte dei procidani temo sia solo il nome di una strada, quella che va da Sant’Antonio alla Chiaiolella. Ma con alcuni amici ci stiamo entusiasmando a scoprire, qua e là, sempre di più, l’importanza di tale personaggio e, magari, a breve, proveremo ad attualizzarne il ricordo.
Giovanni da Procida era nato a Salerno (intorno al 1210) ed era l’erede del feudo di Procida perché la sua famiglia, di pura nobiltà Normanna, era devota, se non imparentata, con gli Altavilla. Morì a quasi 90 anni dopo una vita intensa e avventurosa.
Era medico, tra i più avveduti docenti della Scuola Medica Salernitana, e divenne un “familiares” dell’imperatore Federico II (è uno dei due testimoni che controfirmano il suo testamento), finendo per interpretare poi un ruolo eminentemente politico, riuscendo a condizionare gli eventi del tredicesimo secolo. Ha scritto trattati di medicina, di filosofia e di morale, quasi tutti andati perduti; traduceva dal greco e dall’arabo.
Il nome di Giovanni da Procida ha dato luogo a molte storie e leggende e il suo ruolo negli eventi del 1200 è stato oggetto di molte e controverse interpretazioni. Non c’è dubbio, tuttavia, che la sua capacità umana e politica, unita ad un indubbio fascino e ad una grande e variegata cultura, lo abbiano posto al centro di un significativo pezzo della storia medievale.
Assunta oramai dignità politica con Federico II (alla cui poderosa corte si confrontava con personaggi di prima grandezza come Pier delle Vigne e Giovanni Scoto), continuò nel ruolo di consigliere col figlio Manfredi (di cui era stato precettore) occupandosi anche di governare la sua Salerno istituendo la Fiera e costruendo il Porto, attribuendo, così, alla città di Salerno grande importanza nei traffici marittimi del Mediterraneo. Rilanciando, quindi, la perizia marinara delle genti salernitane, eredi della tradizione della Repubblica di Amalfi: ed egli era anche signore di Tramonti, paese agricolo sulle pendici della costiera.
Rimangono molti dati a sostegno del suo decisivo ruolo nell’organizzazione e nella realizzazione dei Vespri Siciliani (ci sono riscontri perfino delle sue “missioni segrete” preparatorie dal Papa e dall’imperatore bizantino), e le perplessità di alcuni storici (in principal modo quelle di Michele Amari, che sostiene la tesi “tutta siciliana” della rivolta, solo in parte sostenuta da Abulafia, che riconosce, comunque un ruolo a Giovanni) vanno a scontrarsi con un dato di fatto inoppugnabile: dopo la conquista degli Aragonesi ( con Giovanni da Procida che entra a Palermo al fianco della Regina Costanza) un incarico preminente nell’isola verrà consegnato proprio al nuovo Gran Cancelliere del Regno: Giovanni da Procida, appunto.
Insomma, comunque la si voglia mettere, fu protagonista indiscutibile del suo tempo!
Con Procida aveva rapporti costanti? Quante volte ha soggiornato sulla sua isola? Sono interrogativi cui è difficile, ad ora, dare risposte, sperando che maggiori e più approfondite ricerche potranno essere utili allo scopo. Aveva un palazzo a Salerno di una grande centralità e importanza, ma, secondo alcuni, la sua famiglia risiedeva a Napoli (senza dimenticare che era anche signore di Caggiano e barone di Postiglione).
Secondo le ipotesi più credibili (cui aderisce il Ferrajoli), nell’isola, il Palazzo dei da Procida era nel cuore della cittadella medievale, e verosimilmente si tratta dell’unica struttura plausibile e adatta allo scopo: quella dell’ex Conservatorio delle Orfane, i cui disegni storici mostrano una inequivocabile architettura normanna. La “Torre degli Infernali” come dimora dei da Procida, in una zona pianeggiante ed indifendibile è assolutamente una ipotesi solo pittoresca, o riferita a episodi di contorno in una residenza estiva o provvisoria, svoltisi nella “periferia” dell’isola: considerando che l’acropoli è stata il Centro dell’isola almeno fino al settecento.
Gli dobbiamo, con ogni probabilità, due importanti eredità: lo sviluppo del culto di San Michele, Patrono di Procida e lo sviluppo della marineria (con un altro particolare curioso e interessante). La devozione a san Michele di Giovanni da Procida è indiscutibile: i Normanni considerano “l’Arcangelo con la Spada” con devozione speciale e a Monte sant’Angelo, nel Gargano, già nel decimo secolo un gruppo di cavalieri Normanni era posta a difesa dei luoghi. Nel duomo di Salerno, inoltre, si trova la cappella fatta costruire da Giovanni da Procida (come membro influente della Arciconfraternita di San Michele di Salerno) che è ampiamente sovrastata dall’immagine dell’Arcangelo, in una bella e eloquente riproduzione medievale che vede anche una piccola immagine della stesso Giovanni. La “polis micaelica” era sicuramente cara a Giovanni.
La marineria a Procida, che ebbe un impulso decisivo tra il 500 e il 600 (con i d’Avalos) era sicuramente presente in epoche precedenti. Il porto definito Angioino dava accesso diretto all’acropoli. Ma siamo sicuri che quel porto è di origine angioina (quindi legato alla signoria dei Cossa sull’isola)? Potrebbe essere immediatamente precedente, quindi normanno-svevo, ed avere avuto origine dal quel Signore di Procida che era noto per aver dato impulso al porto di Salerno. E sappiamo che l’altra sua “signoria”, cioè Tramonti, da anni forniva limoni alla marineria amalfitana, e poi salernitana (intorno all’anno mille la Repubblica di Amalfi decretò l’uso del limone a bordo delle imbarcazioni al fine di combattere lo scorbuto). E’ probabile che la grande diffusione della coltivazione del limone di Procida (una cultivar simile allo sfusato amalfitano) possa essere stata introdotta dal possedimento di Tramonti di Giovanni da Procida, e molti cognomi Tramontano o Tramontana non derivino (solo) dalla rosa dei venti.
Queste ipotesi (non improbabili) ci fanno sentire Giovanni da Procida più vicino a noi, e siamo certi che la gloriosa Storia marinara di Procida, e quindi l’IDENTITA’ dell’isola, abbia fatto tesoro di tutti i grandi personaggi che l’hanno interessata. Tra tutti Giovanni fu il più grande.