Redazione | Si è tenuto nei giorni scorsi, presso la Sala Giunta di Palazzo San Giacomo, alla presenza del Sindaco De Magistris, il primo incontro preparatorio per il Forum Regionale dei Beni Comuni che si terrà nei mesi a venire. All’incontro erano presenti esponenti istituzionali dei comuni di Pompei e Torre del Greco, gli Assessori Carannante e Lauro per il Comune di Procida, i rappresentanti del mondo dell’associazionismo e del terzo settore, del mondo accademico e delle professioni insieme con cittadini privati e studenti.
Con questo incontro, coordinato dall’Assessore ai Beni comuni, Carmine Piscopo, l’Amministrazione comunale di Napoli, intende proseguire il lavoro che, sin dal suo insediamento, ha portato avanti per la difesa e per l’affermazione giuridica del concetto di Bene Comune.
Un tema che è al centro dell’agenda del comune di Procida e che sarà parte integrante del processo che porterà alla costituzione proprio del forum Regionale dei Beni Comuni. Qualsiasi ragionamento fondato sul bene comune non può che essere orientato alla totalità della vita quotidiana; guarda alla tutela dell’ambiente come alle forme della relazionalità, agli spazi urbani e all’organizzazione delle attività produttive, ai saperi e alle diversità culturali. Investe, insomma, gli stili di vita di tutto, a partire dall’affermazione, come ebbe a sottolineare l’assessore al comune di Napoli Alberto Lucarelli anni fa: un bene comune non può che essere innanzitutto un processo di democrazia.
A tal riguardo riportiamo come base di partenza proprio quanto affermato da Lucarelli nel 2011: «La costruzione di un percorso che, dai Comuni, si declini sui beni comuni, non può che essere complesso, di lungo periodo e indefinito nel suo stato di avanzamento. Ha a che fare, infatti, con una pluralità di variabili direttamente influenzate dal contesto e dalle azioni sociali. E’, in estrema sintesi, uno spazio di alternativa possibile, nel quale ridefinire strutturalmente non soltanto la contraddizione tra pubblico e privato circoscritta ai servizi e alle risorse, ma le stesse forme del governo delle comunità fino a modificare profondamente il contesto giuridico, normativo e consuetudinario nel quale queste si danno.
Riconoscendo come fondamentali alcune questioni congiunturali – che hanno a che fare, per citare alcuni esempi, con l’acqua bene comune, lo ius soli (ovvero il diritto di chi nasce in Italia a essere cittadino), l’equità sociale – delle quali si discute quotidianamente – e che, inevitabilmente, continueranno a essere oggetto di discussione –, altrettanto importante è, tentare di fissare in questa complessità alcune suggestioni da approfondire, ricercare, delineare. Tre questioni appaiono centrali nel immaginare le fondamenta di un discorso sui beni comuni che sappia concretizzare l’alternativa»
Il ruolo dei Municipi
«Nel primo decennio – diceva Lucarelli – del XXI Secolo non era insolito sentir parlare della fine degli Stati-Nazione. Queste argomentazioni si fondavano su un’idea di accentramento costitutivo del potere e del governo, nel quale istituzioni transnazionali, come l’Unione Europea, avrebbero assunto in sé la sovranità di ciascun governo; a far da scenografia a questo scenario era l’economia internazionale, in apparenza mai così interconnessa e transfrontaliera, mentre grandi corridoi infrastrutturali avrebbero dovuto costituire il nuovo sistema nervoso di questa creatura.
Alla vigilia del 2012, invece, gli Stati-Nazione e la dialettica tra essi sembrano aver riconquistato la scena pubblica, e le sofferte decisioni in seno all’Unione Europea non fanno che accentuare quest’evidenza, mettendo in luce l’emergere di un nuovo nazionalismo fondato sul si salvi chi può.
In realtà, sappiamo che mai come oggi gli Stati nazionali sono deboli e vincolati a organismi esterni; ma questa situazione non è il frutto di un trasferimento di sovranità a un’istituzione sovranazionale, bensì la conseguenza di vincoli e impegni verso soggetti che si pongono all’esterno del concetto di sovranità e si fondano su quello di azionariato. In altre parole, il potere decisionale è scivolato dalle istituzioni “fondate sulla volontà popolare” a quelle costruite per gestire al meglio gli interessi dei capitali.
Diventa chiaro, allora, che la democrazia ha casa soltanto laddove essa può essere praticata; ovvero in quegli spazi in cui ognuno può partecipare e presenziare. I Municipi possono essere, oggi, questi spazi. Non solo perché legati a un territorio circoscritto e, di conseguenza, potenzialmente più influenzati dalle dinamiche sociali che si sviluppano. Ma, anche, perché sta maturando una cultura del territorio e delle relazioni di vicinato che fa dei luoghi di vita il proprio spazio di partecipazione prioritario. Non è un caso se gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’esplosione dei comitati territoriali e le più importanti mobilitazioni che hanno attraversato la vita pubblica del Paese siano il frutto delle loro lotte; se il referendum sull’acqua ha avuto un risultato sorprendente, determinato dalla ramificazione nei territori dei comitati promotori; se le sperimentazioni politiche più interessanti abbiano come sfondo città e comuni.
Lo spazio locale è lo spazio ideale della democrazia, perché permette non solo di partecipare, ma anche di concretizzare. In questo senso, il dibattito ruota intorno alle forme con le quali ridefinire i Municipi, perché essi non rappresentino la piccola brutta copia dei governi nazionali, ma siano luoghi di sperimentazione e contaminazione capaci di scambiarsi tra loro buone pratiche. E’ un processo, quest’ultimo, in alcuni casi già in atto, figlio della sensibilità di alcuni o delle imposizioni derivanti dal quadro globale che introduce Patti di Stabilità e vincoli di bilancio insostenibili che, per essere superati, necessitano di creatività sociale e politica.»