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L’editoriale di GINO FINELLI: «PROCIDA È DEI PROCIDANI»

Ditgprocida

Lug 12, 2016

Gino Finelli | Stamane alzandomi di buon ora e sollevando lo sguardo sul mare che guarda Ischia mi sono chiesto: “cosa vuol dire essere Procidano”? Sembrerebbe apparentemente una domanda inutile e scontata la cui risposta sarebbe quasi  certamente : “chi è nato sull’Isola”.

Oppure semplicemente chi ha origini e vive stabilmente, o ancora chi appartiene ad una antica famiglia o ha un cognome tipicamente isolano. Si potrebbe ancora pensare che essere Procidani è un’ idea o un pensiero maturato nella lunga permanenza sull’ Isola. Si potrebbe indicare come Procidano “verace” chi appartiene ad un antico casato di naviganti o armatori.  Si potrebbe dunque essere  Procidano,  a denominazione di origine controllata e certificata, per varie ragioni ed in vario modo, ma nessuna di essa sarebbe in linea con i tempi e con l’evoluzione della specie.

Nel passato si nasceva e, quasi sempre, si viveva tutta la vita nello stesso posto e così si diveniva parte integrante del luogo condividendo con esso le fasi alterne della natura e della vita. Poi l’evoluzione, e con essa, la possibilità divenuta via via faciltà di spostamento, ha costruito un diverso modo di vivere un territorio aprendo la strada alla conoscenza e alla diversificazione della specie che, con il tempo, ha finito di essere autoctona   divenendo   sempre più multi genetica e diversificandosi dal ceppo di appartenenza. Per cui un cognome, un passato, un casato e quant’altro sono rimasti solo come ricordo storico di un lungo percorso dell’umanità.

Oggi, nessuno nasce più a Procida, dunque non si è Procidani per nascita, ma neanche per appartenenza ad una antica famiglia essendosi molto spesso quest’ultima trasformata per gli accoppiamenti più disparati e, non lo si è più perché si vive, da sempre, stabilmente sul luogo, poiché in quest’ultimo caso chiunque potrebbe divenire Procidano acquisendo una residenza attraverso un lungo percorso di vita. E ancora non li si  è  più  per cognome poiché, anche in questo caso, l’emigrazione e  la nascita di nuove generazioni in luoghi e posti diversi del mondo ha modificato il casato di appartenenza.

Allora alla domanda iniziale, apparentemente semplice e scontata, ma che in realtà non  è  affatto facile da definire, ho pensato che bisognava dare una spiegazione, anche per rispondere a tutti i cittadini, ed uso questo termine perché essi tali sono, che troppo frequentemente dichiarano: siamo Procidani e Procida è dei Procidani.

Di quali Procidani se non si definisce chi sono e perché lo sono? Cerchiamo di porre fine a questo quesito.

Terra di conquista, terra che conquista, da sempre Procida è stata l’Isola dei naviganti, aperta al mare e con esso alle sue leggende. Terra di un popolo capace di realizzare le proprie ricchezze e aperto al visitatore che ha transitato, molto spesso uomini di cultura e potere, che hanno contribuito ad arricchire la sua  storia  ed il bagaglio culturale. Chi si è fermato ha saputo apprezzarne la naturale bellezza, la semplicità ed anche quel disordine apparente di un popolo dedito al lavoro. Ha saputo cogliere le capacità artistiche, la fantasia, il suo linguaggio, frutto di  tradizioni,  abitudini, di solitudine spesso malinconica.

Ha imparato che bisogna integrarsi nel territorio senza mai ferirlo o violentarlo e, quando ha  espresso  opinioni o dimostranze, lo ha fatto coinvolgendo il popolo in una sorta di spinta formativa qualificante e qualificata. Da Goethe a Elsa Morante questa terra è stata oggetto di attenzioni e molti, oltre a lasciare testimonianza del loro passaggio, hanno costruito l’idea di che cosa vuol dire amare questa terra , lo hanno scritto rendendola ancora più bella e famosa nel mondo.

Sono Procidane queste persone? Lo sono forse per nascita, appartenenza a famiglie, a casati o per essere stabilmente residenti? E non è forse vero che l’Isola si è fatta vanto di questi personaggi costruendo manifestazioni che li ricordano e li gratificano? Appartenere ad un territorio vuol dire amarlo, rispettarlo, salvaguardarlo; vuol dire conoscere le sue tradizioni, la sua storia; vuol dire accogliere con rispetto quanti sbarcando si  innamorano degli odori, dei tramonti, delle strade, dei panorami, dei giardini, di quanti portano nel cuore la malinconia di averla lasciata, di quanti cercano di dare quel che possono affinchè rimanga intatta quella leggenda che ha fatto grande il territorio, di quanti si indignano della violenza esercitata sull’ambiente o dell’incuria con cui è tenuta.

Essere Procidani è un sentimento d’amore e ci si sente tali quando si mettono in moto tutti i meccanismi e tutte le possibilità per scongiurare il degrado della bellezza, la dimenticanza di un passato glorioso ed unico, l’unicità della sua storia. “Il sole in un occhio, la luna nell’altro” scriveva Paul Eluard  parlando della bellezza, il sole della natura quello che illumina d’immenso le coste, le spiagge, la luna del crepuscolo che può addormentare le menti e confonderle.

Un solo momento di distrazione, troppo spesso avvenuto, soprattutto nel passato, è un momento di complicità che sopprime l’entusiasmo, nasconde l’amore verso la propria terra, favorisce l’individualismo a svantaggio della collettività. Un sogno l’abbiamo tutti, tutti quelli che amano, onorano e rispettano l’Isola.  Lasciamola com’è, smettiamola di inquinarla con le nostre frequenti lamentazioni e con i nostri individualismi, cerchiamo di costruire un percorso di salvaguardia con l’occhio attento, vigile ed intelligente sul futuro che attende le nuove generazioni. Insegniamo ai nostri giovani la nostra storia e costruiamo quel senso civico di rispetto del patrimonio, pur nella naturale evoluzione, così veloce dei nostri tempi. Se faremo tutto questo potremo dire di essere Procidani  e, solo allora, avremo capito, definito e risposto alla domanda iniziale: “Che vuol dire essere Procidano?”

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