Gea Finelli | Pensando di scrivere quest’articolo, ho provato ad immaginare ciò che di nuovo e bello potevo raccontare di Procida.
Ho scritto già tante volte, infatti, di questa piccola Isola in cui risiede tutto l’incanto e la bellezza che io conosco, per cui non voglio stancare il lettore, diventando retorica.
Ho scritto di Procida nel mio primo racconto pubblicato “Domani sarà bel tempo”, e in numerosi articoli per le riviste nazionali con cui collaboro, e per il mio blog. Quando posso uso il mio mestiere per raccontarla, per gridare al mondo che esiste un lembo di terra che Cesare Brandi descriveva come un polipo assopito sdraiato nel bel mezzo delle acque del Golfo di Napoli, in cui la vita scorre incurante del tempo, e si può diventare tutti ricercatori, persone impegnate a riscrivere il senso di sé stessi; in cui si può essere un respiro, un passo, una nota, nella danza della realtà, come scriveva il poeta cileno Alejandro Jodorowsky. Non è assolutamente detto che in questo “ricercare isolano” si capisca qualcosa, ma di certo ci si ferma a riflettere, a fare il punto, e magari poi si trova anche il senso, l’equilibrio sopra la follia, come canta Vasco Rossi.
E’ in questo momento “sospeso” che sto trascorrendo sull’isola, che ho pensato di scrivere di una cosa, a proposito di Procida che, pensandoci, ha dato senso a molto del mio tempo trascorso nel girovagare tra le stradine, le spiagge, le rocce, le contrade di questo spazio circondato dal mare, che rappresenta un microcosmo della vita. Ha dato senso alle estati, ma anche a tutti gli indimenticabili momenti trascorsi sull’Isola fuori stagione. Ciò cui alludo si può racchiudere in una frase: “L’arte dell’incontro”.
Ne avete mai sentito parlare? Non era Sergio Endrigo, insieme a Vincius de Moraes e Giuseppe Ungaretti a cantare: “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, nell’album pubblicato nel 1969 dall’etichetta Fonit Cetra?
“Le anime si incontrano per caso, per curiosità, per determinazione”, narra la voce inconfondibile di Vinicio Capossela. “In tutti i casi l’incontro ha del miracolo”, continua. “Nella coincidenza la componente magica è più evidente, ma decidere, partire e muoversi a tempo per arrivare dove la cosa sta accadendo, è miracoloso come la costruzione di tutte le cose immaginate”. E’ proprio così.
Per me, e scommetto per molti, Procida in questi anni, ha rappresentato soprattutto il luogo dell’incontro, del “miracolo”, e ancora oggi mi stupisce per questo.
Sei comodamente sdraiato a prendere il sole nelle ore del tramonto dei primi giorni dell’estate, in un angolo solitario di spiaggia, che pensavi di essere il solo a conoscere, quando ti capita di incontrare le persone più speciali: una scrittrice solitaria, un artista venuto dal nord, un velista stanco che ha fatto tappa sull’Isola, prima di ripartire alla volta dell’oceano, una signora bionda dal volto buono che ti racconta di apparizioni angeliche, un grande giornalista, un musicista internazionale, un attore, una sceneggiatrice, un fotografo giapponese venuto a studiare l’architettura unica del borgo di Corricella, un manager che in incognita sta ricercando gli sfondi per la nuova campagna pubblicitaria di un marchio mondiale, e potrei continuare all’infinito.
Le incontri proprio nel momento in cui i tuoi pensieri ti stanno portando alla deriva e capita che questi esseri solitari, che viaggiano come angeli sul tuo cammino, incrociano i tuoi occhi, incastrano le loro parole nelle tue, trovando ogni volta quelle giuste, capaci di colpirti, di segnarti, di indicarti la via. Non sei solo tu che stai apprendendo da loro, ma anche loro che stanno riscrivendo il proprio sé, magari attraverso le tue parole.
A Procida in tutte le stagioni si realizza questo.
Personalmente ho avuto modo di conoscere su quest’Isola persone speciali, talvolta autorevoli, molto note, altre volte meno importanti, che sono diventate amici, guide preziose sul mio cammino.
Ricordo con grande gioia le lunghe passeggiate sull’Isola con Paolo Mieli. Le sue domande su ogni particolare che incontrava sul suo cammino, la curiosità incessante di un uomo dotto che non ha mai smesso di chiedersi il perché delle cose, le pillole di saggezza regalatemi tra un gelato e una risata, un autografo firmato al volo, e la sua rassicurante esortazione a camminare sicura accanto a lui.
Ricordo la cena con Nicola Piovani e Cristina Comencini, l’incontro con il giornalista Paolo Forcellini che mi ha introdotto nel difficilissimo mondo giornalistico de “L’Espresso”. Ricordo l’incontro con Fabio Concato e le chiacchiere con Francesco De Gregori, le battute con Fausto Leali, ma anche e soprattutto l’incontro con le persone comuni: anime artistiche unite dal bisogno di fuggire per qualche tempo dal mondo, per produrre, dar senso e sostanza al proprio talento, concretezza al loro ingegno creativo che altrimenti si disperderebbe nella banalità dell’azione quotidiana.
Quanto è vero che il limite, anche quello geografico, è relativo. Equivale al limite biologico, quello di cui parlava lo psicologo statunitense Jerome Bruner che invitava l’uomo a concentrarsi sulla propria inventiva culturale, superando così il limite, andando oltre.
Se, dunque, la biologia rappresenta “il limite”, la cultura rappresenta il potere umano di trascendere tale limite. Anche quando tutto manca, infatti, all’uomo resta sempre la possibilità di sognare, che nessuno gli può sopprimere. Egli ha, comunque, la possibilità di creare, di sperimentare scelte per lui inedite, di attivare energie e potenzialità sopite, di elaborare significati nuovi, di mettere in moto la trasformazione della propria personalità.
Così, in quel tempo che rappresenta l’attesa, in qui momenti solitari di riflessione avvolti nell’incanto e nella bellezza del paesaggio isolano, magari proprio mentre il sole sta salutando il nostro pianeta, nascondendosi lentamente nel mare lungo la linea dell’orizzonte, si realizza l’incantesimo.
Fernando Pessoa diceva che “Di tutto restano tre cose”:
«la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un ponte, del bisogno, un incontro.
A Procida, i versi di Pessoa, possono diventare realtà.»
VOGLIO INNAMORARMI DI
GEA FINELLI;
NON PER CHE OMONIMA D’UNA COLLEGA DI LETTERE CONOSCIUTA A SCUOLA E, DOMICILIATA SULLA STESSA ISOLA DA ANNI ORMAI…
MA CHE PER LE SUE
POETICHE CONSIDERAZIONI,
DI DONNA E DI CREATIVA,
MI SUGGERISCONO AMORE . ESSERE ABILI NELL’ESPRIMERE I PROPRI PENSIERI E SENTIMENTI
NON E’A TUTTI COMUNE, SCRITTORI E PUBBLICISTI;
E COME, ANTONELLA CILENTO, M’EMOZIONA E CONDIZIONA IL MIO SENTIMENTALE SENTIRE !!