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TGPROCIDA

Raccontare il presente, capire il futuro

L’editoriale di Gino Finelli: «UN SOLO MOMENTO DI DISTRAZIONE, È UN MOMENTO DI COMPLICITÀ»

Ditgprocida

Ago 30, 2016

Gino Finelli | Apro il computer, come ogni mattina, e leggo i commenti e mi sovviene la solita domanda: rispondo o non rispondo ? Poi mi ricordo una antica frase  “ Le parole corrono veloci come i treni sui binari della nostra indifferenza” e decido di non aprire una polemica inutile che ha scarso significato sia culturale che politico-sociale. Spesso chi scrive, non per professione, ma per passione, vuole spingere il lettore a entrare in una dialettica democratica attenta e riflessiva delle problematiche proposte. Spesso chi scrive porta alla conoscenza di molti quanto nascosto e, spesso chiarisce argomenti apparentemente conosciuti. Altre volte esprime con un editoriale pensieri e valutazioni culturali. La ragione dello scrivere è dunque sempre quella di aprire una strada di conoscenze e attivare un pensiero sociale  e politico, molte volte, accantonato tra le maglie delle nostre personalissime esigenze.

Per queste ragioni i commenti, a volte lusinghieri, a volte negativi,  spesso  offensivi , non stupiscono chi scrive, anzi lo aiutano a continuare il suo percorso educativo,  spingendolo  nell’opera di stimolare quella coscienza civica che è sorella dell’educazione dimenticata e trascurata in questa nostra epoca.

Cosa dunque si dovrebbe fare per migliorare il senso civico? Alzarsi di  buon’ ora al mattino e cominciare ad operare per se e la collettività. Non è certo colpa solo delle amministrazioni comunali se negli anni quel senso di rispetto del territorio e delle regole è stato continuamente violato. Attribuire agli altri costantemente le proprie responsabilità serve solo a scaricare il senso di colpa, a continuare ad operare nell’assoluta anarchia e nella mancanza di educazione sociale.

Bisogna che chi  si sente e dice ad alta voce di appartenere al territorio, impari, rispettando la natura ed il suo ambiente, contribuendo a migliorare la vivibilità, evitando l’inquinamento delle strade impraticabili soprattutto per i bambini, avendo attenzione anche per quello che è fuori l’uscio della propria casa, rispettando le regole, smettendola di attendere che gli altri facciano quello che dovremmo e potremmo fare noi.

Il nostro tempo, quello che stiamo vivendo, ci informa costantemente, attraverso le mutazioni climatiche, le crisi politiche, il terrorismo, la crisi economica e quant’altro, che siamo alle porte di una nuova epoca storica nella quale quello che ci è stato concesso, spesso in modo libertario,  non possiamo più permettercelo, che il nostro essere cittadini non va delegato ad altri, ma è una condizione di cui dobbiamo prendere coscienza e mettere in atto tutti quei comportamenti che sono necessari per esserlo. Il nostro tempo ci sta insegnando che violare la natura e le sue leggi significa inevitabilmente incorrere in una catastrofe: le nostre coste franano portandosi via lentamente ma inesorabilmente tutto ciò che le ha violate, il nostro mare si arrabbia e scarica su di noi tutto ciò che è stato costretto a ricevere.

Essere cittadini di un luogo, oggi, significa imparare una nuova modalità di vivere il territorio, significa smetterla di appropriarsi di uno spazio che appartiene a tutti. Provo davvero tristezza a continuare ad ascoltare a percepire e a leggere, parole nelle quali il disappunto è soltanto legato a vecchi schemi, quelli dei discorsi di un tempo di alcuni politici, o dei vecchi seduti sulla sedia rossa, così ben descritta da Vittorio Parascandola, che sapevano raccontare senza conoscere. Provo malinconia quando percorro, di sera, le strade di Procida e lentamente, guardando con attenzione cosa mi circonda, noto incuria e spesso degrado.

Di chi è la responsabilità? Solo delle amministrazioni comunali? Della mancanza di controlli e sanzioni? O forse di ciascuno di noi che guarda dentro la sua proprietà disinteressandosi di quello che lo circonda soprattutto se collettivo? Non è forse vero che dovremmo prenderci cura degli spazi comuni, aiutare a tenere in ordine, ciascuno per le proprie capacità e possibilità, quello che è di tutti.

Proviamo ad immaginare un tavolo di lavoro intorno al quale siedono imprenditori, commercianti, operatori turistici, cittadini, ecc, ecc, un tavolo rappresentativo di tutte le presenze del territorio compresa naturalmente l’amministrazione comunale. Un bilancio da parte degli imprenditori, dei commercianti di tutti quelli che in varia misura vivono e tollerano il turismo.

Tutti seduti per discutere su quanto è accaduto su quanto si è fatto su quanto si sarebbe dovuto fare. Intorno a questo tavolo immaginario ciascuno si alza esponendo il suo  pensiero.  E’ critico ed esprime tutto il  dissenso su come si è gestita l’estate e il turismo, ognuno è scontento del proprio incasso e tutti, in coro unanime, criticano l’amministrazione accusandola di non aver fatto nulla o quasi per migliorare l’offerta turistica e la vivibilità degli isolani in questo periodo di affollamento  Insomma, intorno a quel tavolo, un coro di lamentele, accuse, imprecazioni, la volontà costante di dare ad altri, ed in particolare   all’amministrazione,   tutte le colpe, tutte le disattenzioni avvenute nel periodo estivo Non c’è nessuno che in quell’ideale consesso prendendo la parola dichiari, una volta tanto, le sue responsabilità, porti a conoscenza dei presenti le lacune di ciascuno, le inefficienze, le incapacità o la scarsa professionalità del lavoro svolto. Nessuno riferisce delle lamentele di una organizzazione di lavoro improvvisata ed approssimativa, nessuno dichiara che non si può attribuire ad altri quel che non si sa e/o non si riesce a fare. Intorno a quel tavolo molti ascoltano in silenzio, altri alzano la voce, come se il tono, spesso non accompagnato da conoscenza e cultura dell’argomento, potesse da solo giustificare la certezza delle affermazioni. Nessuno dunque prende coscienza di sè, dei limiti, delle inefficienze o mancanze prodotte dal proprio sistema di lavoro e di vita. Una rappresentazione di “personaggetti” come direbbe il nostro presidente De Luca, a cui qualcuno dovrebbe e potrebbe far capire che , al di là delle lacune del sistema sociale ed in particolare comunale, lacune peraltro presenti in quasi tutte le realtà italiane, esiste la volontà, connessa alla capacità, di dare spazio alla creatività ed all’operosità, quello spazio evidente in gran parte delle realtà turistiche da Roma in su affidato ai soli operatori che riescono, con un atteggiamento consortile e di rispetto reciproco, a contribuire a minimizzare ed, in taluni casi a far scomparire, quelle disattenzioni, incapacità delle amministrazioni. Qualcuno dovrebbe e potrebbe far capire ai nostri operatori del settore che “l’unione fa la forza” e che si può oggi consorziarsi per crescere insieme e superare il momento critico politico- sociale del nostro paese. E’ giunto il tempo di alzarsi al mattino, scendere in piazza o per le strade e operare per il proprio territorio la propria gente, salvaguardare il lavoro per i nostri figli,   l’immagine del luogo, la sua sicurezza, il suo decoro. Diceva Jean Paul Sartre che “un solo momento di distrazione è un momento di complicità” La complicità che in questi anni, troppi anni, ci ha portato a dimenticarci di essere i protagonisti unici del nostro benessere e del nostro successo.

 

2 commenti su “L’editoriale di Gino Finelli: «UN SOLO MOMENTO DI DISTRAZIONE, È UN MOMENTO DI COMPLICITÀ»”
  1. Concordo in linea di massima con il pensiero del dott. Finelli ma credo anche che il ” procedere uniti ” non sia nel DNA del procidano. Il compianto Curato don Luigi Fasanaro definiva il procidano “uno sciuont ” (sciolto, solitario, egoista, mai aggregato stabilmente)……….

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