Sebastiano Cultrera | In principio fu la Regione Campania. Perché la “vicenda Waterfront” nasce da lontano: dalla incapacità della Regione Campania di riucire a spendere, per tempo, i soldi dell’Unione Europea. Soldi destinati soprattutto al Sud ma che la inefficienza delle Regioni del Sud fa, spesso, tornare indietro, in gran parte, all’Europa stessa. Accentuando il ruolo di contributore netto che l’Italia riveste in Europa (ruolo che il presidente Renzi, proprio in questi giorni, rivendica fortemente e che è al centro del dibattito politico nazionale ed europeo). Ci sarebbe, anche, a questo proposito, da ricordare l’importanza di ristabilire (come fa la Riforma da confermare nel prossimo referendum) una supremazia dello Stato nei confronti delle Regioni inadempienti: ma questa è un’altra storia.
Torniamo al Waterfront della Marina Grande di Procida. Caldoro e la sua giunta regionale, dopo tre anni e mezzo di infruttifero governo, pensarono bene di accrescere la quota di fondi europei spesi sul territorio con una manovra destinata a sveltire le procedure di spesa di tali fondi: la legge di ACCELERAZIONE della spesa. Un nome una garanzia. E come spesso capita al molteplice ingegno napoletano e campano, di idee ce n’erano molte in campo , ma di progetti esecutivi pochini e la Regione distribuì ai vari Comuni l’onore e l’onere di individuarne alcuni, lasciando ai Comuni stessi , com’è giusto che sia, tutta la responsabilità delle procedure di progettazione, cantierabilità e realizzazione delle opere. I Comuni campani, di solito, hanno risorse tecniche a mala pena sufficienti per la gestione dell’ordinaria amministrazione, e quello di Procida non è una brillante eccezione. Pur con il supporto di valenti tecnici e progettisti “esterni” rimase per molti comuni un problema di difficile gestione dello stress organizzativo aggiuntivo, in funzione appunto della “accelerazione della spesa”. Il Sindaco Capezzuto (un vero cane da tartufi quando si tratta di scovare finanziamenti per il proprio Comune) capì l’antifona e, promettendo grande e rapida capacità di spesa del Comune di Procida, si piazzò in pianta stabile dalle parti di Giggino a’ purpetta (al secolo il simpatico on. Luigi Cesaro) che fece la sua autorevole pressione su Caldoro al fine di assegnare a Procida ben 7 milioni di euro, circa, di finanziamenti pubblici. Ma quei fondi si rilevarono presto una “polpetta avvelenata”, soprattutto per via delle burocrazie locali e regionali e delle procedure che, per quanto le si potesse sveltire, non furono di molto “accelerate”. Ora sette milioni sembrano tanti per un aggiustamento ordinario delle strade e interventi, pur necessari, di ordinaria manutenzione, e forse non era una finalità perseguibile. Ma sette milioni sono pochi per cominciare a mettere principio sulla ristrutturazione del complesso immobiliare di Terra Murata divenuto pubblico. Insomma un bel dilemma. Che si fa con questi soldi?
La scelta di Capezzuto nasce da una giusta constatazione. Il primo impatto sull’isola, per un turista che approda a Procida è molto bello. La vista si apre sulla splendida palazzata della Marina, con i resti degli archi del cd “Palazzo Merlato”. Certo il tutto aveva bisogno di una sistemata, le luci, la pavimentazione, alcuni merli del palazzo che stavano cadendo e la facciata era in rovina; ma la vera bruttura dell’approccio all’isola nel porto sono le macchine in sosta nel piazzale di sbarco nell’isola, tra cui tutti i taxi dell’isola, di media molto più grandi, più invasivi e più visibili dei taxi di qualsiasi grande aereoporto. Una architettura da sogno e poi… più ferraglia automobilistica dell’arrivo a Francoforte. Naturalmente Capezzuto non pensa neanche un attimo di mettere in discussione ciò , ma si dedica, con la sua solita determinazione, a mettere in cantiere un intervento idoneo e utile per l’efficienza e per la sicurezza della Marina Grande, valorizzando, almeno dove possibile, l’architettura e la storia dell’isola. Il nome, tuttavia, viene mutuato, credo, da esperienze nordeuropee (Amburgo o Rotterdam?). E in omaggio alla mini-palazzata di taxi che accoglie il turista al porto: il nome Waterfront sembra , a questo punto perfetto.
Queste considerazioni servono a chiarire che, in fondo, non ci si poteva aspettare molto da un progetto cotto e mangiato in fretta e furia, con tutte le discrepanze della fretta e tutte le approssimazioni della furia.
La fase della realizzazione è stata, se possibile, peggiore. Alla comprensibile inesperienza della amministrazione seguente, e in particolare alla volenterosa e attiva (ma forse inidonea a quel compito) assessora ai LL PP non viene in soccorso la fretta, che nella dinamica della “accelerazione della spesa” , continua a farla da padrona. La favola montante “benecomunista” costringe, poi, a una variante “per il bene comune” che ha un impatto più ideologico che pratico. Tanto è vero che non risolve i problemi reali. Alla prima pioggia più insistente la Marina diventa una lava peggio di prima; il palazzo Merlato, dopo tanto cincischiare per il colore ( più politicamente corretto possibile) perde pezzi di intonaco e ai taxi non è stata trovata altra collocazione. Infatti anche il nome nordeuropeo dell’opera viene confermato : Waterfront!
Sul parcheggio, invece, buio pesto! Insomma un bel caos.
Dopo tanto penare, però, dico io, è possibile che tutto ciò generi soltanto una indegna gazzara politica?
I protagonisti della vicenda, tecnici e politici, sanno bene che si tratta di un’opera dettata dalla fretta: nata male, rielaborata peggio e realizzata, alla fine, maluccio.
Ogni indagine conoscitiva è naturalmente opportuna. L’opposizione, che già presiede la commissione Trasparenza può avere a sua disposizione ogni elemento tecnico e amministrativo per una ricostruzione della vicenda che riguarda, in verità, per alcune fasi iniziali, più loro stessi ( cioè l’attuale opposizione) che l’assessore e l’amministrazione in carica.
Sembra, poi, inopportuna la reazione del Sindaco ( forse un po’ affaticato, nel frangente, dal peso amministrativo) di buttare la palla in tribuna riprendendo un tema (oramai metabolizzato e ammuffito) come quello del debito pregresso. I like dei fedelissimi desiderosi di “sangue e arena” peggiorano solamente il clima. E sono sempre meno. Ma, comunque, non si misura così né la capacità né il consenso di un governo comunale. Né si fa, così, chiarezza sul Waterfront e sul suo flop annunciato!
Ma stiamo sereni: i taxi bipartisan resistono!
Comunque il solerte e preparato scrivente dell’articolo di cui sopra ha dimenticato delle barche a remi che ormai si consumano all’addiaccio alla chiaiolella lato S. Margherita mal custodite e ogni tanto rispolverate per far divertire gli amici e gli amici degli amici. Anche se devo dire che almeno qualcosa hanno fatto al terzo porto turistico dell’isola. Ci hanno messo le barche comprate con i soldi del waterfront. Oltre alla zona delimitata con i vasoni per il ristorante amico le barhche “abbelliscono” una zona che se non fosse per alcuni imprenditori del luogo sarebbe allo sfascio totale. Grazie per aver pubblicato il mio sfogo.
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E’dal 1980 che Procida deve ascoltare le teorie,le straregie,la politica,gli editoriali, di Cultrera. Tutto ciò, raccontandosi tra un partito e un altro rimanendo fuori solo dal partito monarchico.Non voglio dilungarmi sui personaggi politici fortemente sostenuti,ma una solo domanda mi pongo ; Lei ha mai veramente analizzato il termine “FLOP”?