Enzo Esposito | La costituzione della Repubblica Italiana, approvata a larghissima maggioranza dall’Assemblea Costituente, promulgata il 22 Dicembre del 1947 ed entrata in vigore il 1°Gennaio 1948, contiene 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali.
Si divide in tre parti: principi fondamentali (artt. 1-12); parte prima/ diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54); parte seconda/ordinamento della Repubblica (artt. 55- 139).
I principi fondamentali e la parte prima della Costituzione, sono rimaste, in pratica, inalterati dalla sua entrata in vigore. Viceversa la parte seconda, è stata sottoposta a diverse modifiche, la più ampia delle quali, è stata approvata con la legge costituzionale 3/2001 riguardante il titolo V.
Fra gli istituti previsti dalla seconda parte della Costituzione vi sono i referendum. Essi sono di due tipi. Uno, previsto dall’art. 75 c.d. abrogativo, può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali, e ha la funzione di abrogare una legge o parte di essa.
Per la validità di questo tipo di referendum, che contrasta con una decisione del Parlamento, organo rappresentativo della volontà popolare, cui spetta il potere legislativo, occorre la partecipazione al voto della maggioranza assoluta degli elettori. Le ragioni che hanno indotto il Costituente a prevedere un quorum per il referendum abrogativo, risiedono nella necessità di evitare che una legge approvata dalla maggioranza dei parlamentari eletti possa essere abrogata da una minoranza di elettori.
Un secondo tipo di referendum è quello previsto dall’art. 138 della Costituzione. Esso è di tipo confermativo e riguarda solo le leggi di revisione costituzionale che non hanno ottenuto la maggioranza dei 2/3 dei componenti del Parlamento, e quando lo richiedono 500.000 elettori, o 5 Consigli Regionali o 1/5 dei componenti di una Camera.
Per questo tipo di referendum non è richiesta la partecipazione al voto della maggioranza assoluta degli elettori (c.d. quorum) in quanto si tratta di confermare una riforma già regolarmente approvata dalle Camere, in doppia lettura, e non di abrogarla.
Quello che si celebrerà il 4 dicembre è un referendum confermativo.
Ma qual è l’oggetto del referendum? Il governo ha fatto approvare dal Parlamento una modifica riguardante la seconda parte della Costituzione, incidente su 47 articoli. I motivi che hanno ispirato questa riforma sono stati la necessità di avere una forma più agile, meno farraginosa e più rapida di decisione visto le esigenze della politica attuale.
In verità la Costituzione, che disegna una repubblica parlamentare, ha il limite di prevedere una forma di governo debole. Ciò si spiega, sostanzialmente, per motivi storici, in quanto all’epoca della Costituente si era appena usciti drammaticamente dal ventennio fascista, in cui la forma di governo aveva avuto una aberrante carattere autoritario e dittatoriale.
Nella riforma in discussione si è così ridimensionato il ruolo del Senato, sono stati diminuiti i poteri del Presidente della Repubblica e delle Regioni e, di converso, è stato accentrato e rafforzato il ruolo del Governo, alterando significamente il criterio di divisione e controllo reciproco tra i poteri dello Stato che è alla base di ogni Costituzione moderna. Così, ad esempio nell’art. 117 è stato inserita una c.d. “clausola di supremazia, in base alla quale il governo, qualora lo richieda un non meglio precisato interesse nazionale, può sottrarre alle Regioni, materie nella legislazione non di esclusiva competenza a sua volta già ridotta.
Le esigenze su esposte possono essere anche valide in via generale.
Tuttavia, va precisato, che la scelta che devono compiere gli elettori, riguarda specificamente la riforma proposta, che, come si è già intravisto, presenta pesanti limiti.
D’altronde il ritorno al centralismo statale e il rafforzamento del Governo è già stato praticato mediante forme surrettizie, che, di fatto, hanno fortemente limitato il ruolo del Parlamento.
Basti, a tal proposito, pensare al continuo ricorso alla “questione di fiducia”, che per sua natura blocca il dibattito parlamentare su ogni legge; nonché il massiccio utilizzo delle leggi – delega, che consentono al Governo di redigere materialmente le norme, senza che con ciò si sia ottenuto alcun vantaggio. Anzi si è assistito ad un ulteriore rallentamento del procedimento legislativo attraverso i c.d. decreti attuativi, largamente utilizzati nel caso della legge delega, che vengono emessi addirittura anni dopo. Attualmente infatti, è ancora pendente il 40% dei decreti attuativi in riferimento alle leggi del periodo del governo Monti, la cui esperienza si è chiusa nel febbraio 2013.
A questo punto c’è da chiedersi se la riforma sia veramente efficiente. La risposta non è scontata, ove si tenga presente che il Senato, pur ridimensionato, può intervenire, ai sensi del nuovo art 70, in 7 diversi modi sui provvedimenti legislativi approvati dalla Camera.
Il dibattito politico sul referendum si è poi ulteriormente ingarbugliato in seguito alla personalizzazione del quesito referendario che ne ha fatto il premier Renzi, deviandolo dall’esame puntuale dei contenuti della riforma.
Per di più le preoccupazioni di coloro che non intendono confermare la riforma, si sono accresciute a causa del “combinato disposto” tra la riforma elettorale maggioritaria (c.d. Italicum) e quella costituzionale. La legge elettorale a doppio turno prevede un ampio premio di maggioranza al partito che ottiene più voti; nonché, qualora non si raggiunga al primo turno, la quota del 40% dei voti, prevede il ballottaggio fra i due partiti più votati, senza che sia precisato il quorum minimo di voti che essi debbano raggiungere, e senza che sia previsto, nel ballottaggio, la partecipazione di almeno il 50 % degli elettori.
Ne consegue che un partito che ottenga una semplice minoranza può governare con la maggioranza assoluta dei parlamentari. Senza richiamare fantasmi passati, (perché non ne esistono le condizioni storiche) va ricordato che il fascismo consolidò in modo definitivo il suo potere, diventando una dittatura, vincendo, le elezioni del 6 aprile del 1924 con la c.d. legge Acerbo, che prevedeva l’attribuzione dei due terzi dei seggi parlamentari ad una lista che raggiungesse il 25% dei voti.
Da quanto detto emerge che gli elettori sono chiamati a compiere una scelta che influenzerà il futuro assetto democratico del paese. Ridurre il dibattito ad un referendum ad personam nei confronti del premier, è errato e deviante. Occorre al contrario approfondire le tematiche oggetto di riforma e scegliere in modo obiettivo e razionale.
Non
vorrei soffermarmi tanto sull’articolo che descrive chiaramente i pro e i contro di questo referendum,scritto poi da E.Esposito ,una persona e un politico di razza,di immensa cultura,da me considerato come la personalità più autorevole di Procida da svariati decenni.
Quello che,però,mi preme sottolineare,è un altro aspetto.
L’articolo ,volendo usare una metafora,lo paragono come ad un sasso lanciato in un fango melmoso,in un acquitrinio fetido e puzzolente.
Volendo,con ciò,tentare di analizzare la nostra società procida ,ai giorni d’oggi,che è come anestitizzata e priva ,totalmente,di quei slanci valoriali ,di pathos politico e sociale,
che ,sembra,che noi vivessimo al di fuori di qualasiasi contesto nazionale,europeo,mondiale.
” Un’isola che non c’è “: cosi definirei Procida e i procidani.