Sebastiano Cultrera | “La rivoluzione non è un pranzo di gala” diceva MaoTseDong, ricordando che i cambiamenti non sono mai indolori. Ogni cambiamento determina reazioni da chi si sente colpito, nei propri interessi e nelle proprie abitudini, dalle novità introdotte, dalle nuove dinamiche inserite in un ambiente che aveva un suo equilibrio.
Matteo Renzi è piombato sulla politica italiana con il suo contagioso entusiasmo da ROTTAMATORE, ma, come suggeriva ieri sera il ghigno del baffo di Massimo D’Alema, è finito rottamato a sua volta, proprio nell’esito della sua sfida più importante: quella di modificare (finalmente: dopo 30 anni di tentativi) le regole della democrazia italiana.
Eppure i numeri, Renzi ce li aveva tutti (e ce li ha ancora: quindi ATTENTI!): è giovane, dinamico, capace, con una mentalità veloce e pragmatica, con un approccio riformista e mai ideologico con le cose. Ed ha coraggio.
Ma introdurre nel corpaccione malato di una società ferma, come quella italiana, tante idee di cambiamento, e tutte insieme, comporta una reazione. Specie se talvolta le idee rimangono a metà, come nel caso della Buona Scuola, che è l’emblema di come riuscire a rovinare una buona intenzione, e un poderoso investimento (con circa 150 mila docenti stabili in più), trovandosi contro milioni di docenti (e i loro potenti sindacati), e (quello che è peggio) senza nessun riscontro tra le famiglie e fra gli studenti (lasciati, comunque, in balia dell’arbitrio dei docenti, anche nel caso di cattivi maestri).
E’ così: se vuoi sburocratizzare e riformare, in ogni campo, hai un nemico certo: la burocrazia. Ma non è detto che hai per amici i cittadini utenti di quei servizi (anche se migliorati senza il peso di tanta burocrazia). La fretta di tanti interventi, di cui alcuni solo abbozzati e troppo rapidamente, non ha consentito un giusto apprezzamento, tra i cittadini, dell’attività riformista di Renzi e del suo governo. Che, in realtà, era costituito, per lo più, da validi e volenterosi giovani, ma non esattamente da mastini capaci di mordere ai polpacci le arretratezze del sistema (e le furbizie dei direttori generali di turno).
Quindi di nemici Renzi se n’è fatti molti, e, nonostante una simpatia iniziale, non è riuscito a coinvolgere la maggioranza dei cittadini. Tra i nemici più agguerriti i Poteri Forti! Ma come, non era lui il figlioccio delle banche, del capitalismo, che emanava puzza di massoneria e di complotto? E’ noto che i poteri cosiddetti forti necessitano, per dominare, di una politica DEBOLE. Prediligono i governi tecnici, la instabilità politica, l’incapacità e la debolezza complessiva della democrazia e del sistema politico. Renzi è un decisionista! E’ un politico di razza abituato a prendere decisioni tutti giorni, da Sindaco, da Presidente di Provincia, da leader politico quale è! Nel suo disegno c’era (e c’è!) un progetto dichiarato di ritorno alla supremazia della politica: la quale nel rispetto delle regole democratiche (e quindi della sovranità popolare) deve tornare ad essere DECIDENTE e a guidare le trasformazioni sociali. La burocrazia, una gran fetta della magistratura, tanta finanza e altre preesistenze consolidate (più o meno eversive) non potevano digerire il disegno ordinato di una democrazia funzionante. La maggioranza dei poteri forti (che non sono le libere associazioni del mondo produttivo) ha remato contro.
Renzi, inoltre, si è cacciato (ma probabilmente era inevitabile) in un pericoloso scontro contro tutti (o meglio ha lasciato che tutti, anche eterogenei, si coalizzassero CONTRO DI LUI). E la frittata è stata fatta! Circa sei italiani su dieci si sono messi per traverso al suo progetto politico. Il Popolo ha salvato la Costituzione? E’ una fesseria: non ne hanno letto neanche la copertina! E’ stato solo un voto CONTRO. Contro Renzi, contro il Sistema (che Renzi nel frangente rappresentava) CONTRO la politica e, financo, contro la democrazia, in taluni casi. E’ stato anche il voto degli esclusi, di tanti cittadini delusi dallo Stato e dalla politica che hanno trovato l’occasione di dire NO. La Riforma c’entra poco e niente. Anzi quel poco di riforma che Renzi era riuscito a portare a casa (da un Parlamento frammentato e contraddittorio) sarebbe, forse, potuta essere la scintilla al cambiamento del sistema.
Una serie di fattori obiettivi e qualche errore compiuto, come abbiamo visto, hanno fatto tornare l’orologio delle Riforme alla seduta del 22 aprile 2013 (data del drammatico discorso di insediamento di Napolitano bis). Il Parlamento (e non solo Renzi) è stato incapace di produrre una Riforma gradita al corpo elettorale. E’ quindi, giusto che questo Palamento smetta, rapidamente, la sua funzione: e si vada prestissimo a votare.
E Matteo? Anche Renzi, come nel gioco dell’oca, è tornato indietro un giro. E si trova esattamente allo stesso punto: ad esattamente 4 anni fa, il 3 dicembre 2012, quando pronunciava il famoso discorso della sconfitta alle primarie.
Il discorso della sconfitta al referendum gli somiglia molto. Nei toni, nei concetti e nei contenuti. E soprattutto nella capacità di assumere su di sé tutte le responsabilità, fino alle tempestive dimissioni da premier.
Tuttavia…tuttavia stavolta è diverso. E’ un leader maturo che parla, un uomo avvezzo a trattare alla pari i leader di tutto il mondo, un exragazzo oramai cresciuto che, seppur sconfitto, ha saputo proporre una ipotesi concreta di cambiamento cui una (larga: il 40,5%) fetta dei cittadini italiani ha creduto. Non più il Renzi proiezione di un sogno di ieri, ma il Renzi capace uomo di Stato e abile negoziatore di oggi, che ha messo, per primo in Italia, su carta e nel nostro ordinamento una enorme quantità di riforme e cambiamenti. Più di ogni altro e in così poco tempo. I mille giorni di Renzi potranno essere una felice parentesi nei libri di Storia della nostra Repubblica o solo l’antipasto di una nuova stagione di indispensabili riforme. Nel suo discorso sembra già promettere, ai suoi sostenitori una rivincita: “Arriverà un giorno in cui tornerete a festeggiare la VITTORIA”