Pasquale Lubrano | Con la scomparsa di Gigi Bellini, perdiamo l’ultima testimonianza diretta di una delle più dure vicende umane e politiche che si consumarono nel penitenziario di Terra Murata negli anni successivi alla caduta del fascismo. Ospiti del carcere non furono soltanto più di un centinaio tra gerarchi e personaggi vari del regime, ma anche giovani politicamente e militarmente impegnati che crimini non avevano commesso. Gigi Bellini fu uno di questi. Il soldato RSI Luigi Bellini, nato a Calogna Veneta, poco più che sedicenne, era stato condannato a 10 anni. In un conflitto a fuoco con i partigiani morì un soldato inglese; una spia infiltrata fece vari nomi e tra essi il giovanissimo Gigi.
Furono complessivamente arrestati dagli Inglesi sotto accusa di “criminali di guerra” circa cento italiani. Le Corti giudicanti erano esclusivamente composte da ufficiali inglesi o americani. Il governo britannico pretese con intransigenza la punizione degli italiani responsabili di crimini di guerra nei confronti delle truppe del Commonwealth. Questa politica riguardava anche quegli italiani condannati autonomamente da corti militari britanniche su suolo italiano. I processi furono sommari e Gigi ne fu vittima non potendo dimostrare la sua innocenza. Il regolamento applicato nei confronti degli imputati nei processi per crimini di guerra, consisteva in un decreto di S.M. Britannica emesso il 14 giugno 1945 secondo il quale nessuna garanzia e possibilità di difesa veniva concessa all’imputato.
Al momento del ritiro delle forze inglesi dall’Italia meridionale, nell’ottobre 1946, il Foreign Office aveva stretto un accordo con il governo di Roma per trasferire nelle carceri italiane i criminali di guerra condannati da corti britanniche. Dopo la condanna i cosiddetti criminali di guerra italiani giudicati dagli inglesi furono incarcerati alla 32ª Military Prison presso la caserma Regina Elena, via Tiburtina in Roma, trasformata in prigione inglese. Poi vennero trasferiti in un accampamento ad Acerra, vicino Napoli, dove vissero in condizioni durissime per circa un anno. Nel corso del 1947 furono consegnati dagli inglesi 28 criminali di guerra, cui si aggiunsero altri quattro giudicati da corti statunitensi tra cui Pietro Magi e Benedetto Pilon che come Bellini e Cornacchia poi misero famiglia nell’isola. Nella primavera del 1947 i condannati furono trasferiti, prima nell’“inferno” di Poggioreale e poi alla Casa Penale di Terra Murata.
In base all’accordo, le autorità italiane si erano impegnate a garantire la completa esecuzione delle pene comminate dai tribunali alleati. Furono tuttavia esercitate pressioni per ottenere misure di riduzione delle pene. Un interessamento in questo senso fu manifestato anche dalla Segreteria di Stato del Vaticano. Solo nella primavera del 1948 (tre anni in media dopo le incarcerazioni) le Autorità Italiane iniziarono a rispondere alle angosciate richieste e proteste delle famiglie. Ancora tra il marzo ed il maggio del ‘49 il Ministero di Grazia e Giustizia e l’ambasciata inglese a Roma, si rimpallavano l’un l’altra le richieste dei reclusi e dei familiari in merito alla revisione delle “sentenze”.
I “22 criminali”, di fronte a tanto scarso impegno ad affrontare il loro dramma, decisero di attuare lo sciopera della fame, ad oltranza fino alla soluzione finale: libertà o morte. Il 7 giugno 1949 al suono della campana della sveglia scattò la drammatica protesta, mentre all’esterno la stampa nazionale poneva l’Italia ed il Governo davanti alle proprie responsabilità.
Iniziarono pressioni di ogni genere, tra minacce e promesse purché lo sciopero fosse sospeso. Il Ten Carlo Borrini, uno dei “22”, nel diario che tenne parlò spesso di Gigi, un ragazzo, il più giovane tra loro. Scrisse di lui al secondo giorno, quando “oppresso da insistente emicrania chiede ed ingurgita calmanti”. Al quinto giorno resistette alle pressioni della signora Monticelli e dell’avv. Tilena. La signora, dopo avere pregato invano alcuni dei “22” di desistere, “si è abbracciato Gigetto e l’ha scongiurato a nome di mamma… poi ha aperto la borsa, ha tratto una tazza di zabaglione, glielo voleva far trangugiare a viva forza. Il pupo Bellini è stato grande, ha risposto: “Non lo bevo Signora! Se insistere mi date prova di non volermi bene! Mi vorreste far vivere magari un giorno in più per che cosa? Abbiamo fatto tutti 22 lo stesso giuramento e se mancassi sarei un traditore! Io non sarò mai un traditore!”- Bravo Gigetto!”. Al sesto giorno di digiuno il diarista annota la grande tranquillità d’animo di Gigetto: “Il pupo Bellini tenta pettinarsi con le mani aprendo le dita a raggiera; i folti capelli ondulati e lunghi sono molto intrigati, prova col piccolo pettine, ma non riesce nell’intento, sosta un istante e poi si decide, si alza, infila ciabatte e si avvia al barile dell’acqua, bagna le mani due tre volte e le passa sui capelli, quindi ritorna al suo giaciglio, si arma di pettine e riprende la difficile operazione” finché ci riesce.
Con questa determinazione Gigi e gli altri, tra indicibili sofferenze, resistettero fino al pomeriggio del 13 giugno quando venne comunicato il contenuto del telegramma ministeriale con la concessione della libertà vigilata fuori dal carcere assistititi dalla Croce Rossa Italiana.
Il trasferimento dal carcere verso i locali allestiti dalla CRI presso l’Edificio Scolastico avveniva la mattina del 27 giugno con grade festa e partecipazione di autorità e cittadini. Non era libertà completa: iniziava una nuova fase.
Nel luglio 1949 il governo inglese venne incontro alle esigenze italiane dando la possibilità della riduzione di un terzo della pena per buona condotta e l’immediata scarcerazione in caso di grave malattia contratta in carcere, tale da “accorciare le normali aspettative di vita”. Le autorità italiane sfruttarono la situazione: applicarono anche di propria iniziativa il beneficio della libertà provvisoria, previsto dall’ordinamento italiano. Nel ‘50 ad un’ondata di scarcerazioni il governo inglese reagì con una dura nota di protesta consegnata dall’ambasciatore Mallet. Ciò valse a ritardare di qualche tempo la liberazione dello sparuto gruppo di criminali di guerra rimasti in prigione o in semilibertà. Dopo un anno dall’uscita dal carcere, sette dei 22 erano ancora presso l’infermeria della C.R.I.
Gigi Bellini che nel giorno di Pasqua ci ha lasciati, si inserì bene nella nostra comunità avviando una gelateria, punto di riferimento per grandi e piccini e fu per tutti “Gigi dei gelati”. Lo ricordiamo con affetto.