Redazione | Nella storia del Mezzogiorno i monti e le congregazioni laicali hanno fornito da sempre risposte alle necessità di soccorso, di assistenza, di lavoro, ma anche di formazione e d’istruzione degli iscritti e delle loro famiglie. Occorre attendere il 1898, perché alla mente del legislatore italiano s’affacci l’idea della mutualità, secondo la corrente accezione moderna ; viceversa, in ambienti d’ispirazione cristiana, già all’alba dell’era posttridentina un’idea siffatta aveva cominciato a circolare: e, se Torre del Greco dové attendere il 1668, per essere dotata d’un ente che provvedesse al riscatto dei marinai fatti schiavi dei pirati , viceversa, al Pio Monte dei Marinari di Procida diede vita il Collegium Nautarum procidano, costituitosi tra i marinai, i barcaioli e i padroni di bastimenti, fin dal 12 giugno 16174 , con la denominazione originaria di «Colonna del riscatto»
Oggi in un momento di profonda crisi per il welfare state e per il settore del lavoro marittimo l’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo ha promosso un incontro su ruolo e peso dei monti previdenziali impegnati nell’assistenza ai propri iscritti in un momento in cui lo stato sociale non era ancora nato. L’appuntamento – organizzato da Raffaella Salvemini – primo ricercatore e dall’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del CNR di Napoli – è per stasera ore 18,30 nella chiesa di Santa Maria della Pietà e san Giovanni Battista.
Quattrocento anni fa, forse prima istituzione al mondo a farlo, armatori e marittimi isolani fondarono un “sodalizio di mutuo soccorso” al fine di aiutare le famiglie di quanti di loro si fossero trovati in difficoltà. In una prima stesura la garanzia era riservata solo per gli appartenenti alla Marina di Sancio Cattolico, escludendo di fatto le altre marine o le altre località isolane. “Limosine e medicine ai marinai poveri e alle loro famiglie conceder doti di Duc. 30 pari a lire 127.50 per quelli che cadevano schiavi dei barbari e pirati”. Di più: lo statuto prevedeva l’edificazione ad onore della Pietà, di San Giovanni Battista e di San Leonardo, affinché in essa si potesse celebrare il culto divino.
Un cambiamento significativo avvenne due secoli dopo nella stesura dello statuto della Pia Opera e che è ancora quello vigente. Novità fu l’ingresso all’interno della gestione e amministrazione della Curia Napoletana. Allora chiamata Deputazione Provinciale clericale. Fino a quel momento l’associazione era assoggettata alle leggi che regolavano i luoghi pii laicali, sottoposta alla sorveglianza del Consiglio degli Ospizi. Alla tutela della Deputazione Provinciale si affiancò quella dell’Autorità Governativa in forza della legge 3 dell’agosto 1862.
In quei due secoli il Monte dei Marinai – come si legge dagli atti – non aveva più “progredito” in “ricchezza e prosperità” così si ritenne che per salvarlo e preservarlo bisognasse riformare lo statuto così da interpretare meglio le esigenze del momento. La prefettura invitò – dunque – l’allora consiglio comunale di Procida a dar seguito a quella domanda di cambiamento che si ravvisava opportuna ai sensi degli art. 2e e 24 della legge sulle Opere Pie.
L’intento principale era dare al Pio Monte dei Marinai la più larga partecipazione nella scelta degli amministratori, riformando quei capitoli dell’antica regola della fondazione del 12 aprile 1617, non più attuabili. Nel particolare i motivi furono due: Uno perché erano venuti meno o quasi gli obblighi statutari originali e nell’altro si ravvisava la necessità di adeguare e modificare (allontanandosi il meno possibile dalle volontà dei soci fondatori) l’accesso al credito e alle opere di beneficenza che il Monte dei Marinai poteva elargire. Tutto ciò sempre sotto la costante e “paterna” direzione della Curia Arcivescovile Napoletana.