Gino Finelli | “Sempre la stessa”. Seduto ai tavolini del più importante bar della Marina, mi è capitato di ascoltare questa risposta data dal personale del locale alla domanda di una signora che chiedeva la password del Wi -Fi.
“Ma come?- risponde la signora. Le sembra che io mi comporti in modo così poco educato da sentirmi rispondere “sempre la stessa” ? Cosa mai ho detto o fatto per essere così scostumatamente epitetata e, in fondo, cosa ho chiesto? Solo la password del vostro Wi –Fi!”.
“Ma no signora cosa ha capito, la password del nostro w- fi, quella che lei deve inserire per connettersi è “sempre la stessa”, e la signora, ma io non la ricordo e non so comunque quale era quella di prima. Il ragazzo tentava di spiegare, senza riuscirci e, così alla fine di un equivoco divenuto surreale, il mio solito amico seduto nel solito posto, alla solita ora di un solito giorno, si alza, lasciando per un istante incustodito il suo posto, si avvicina alla signora e con gentilezza, garbo e educazione spiega che “sempre la stessa” era quanto doveva scrivere per connettersi al sistema Wi- Fi del bar. Finalmente la connessione ad internet era resa possibile, finalmente era chiarito l’equivoco.
Sempre la stessa diviene così una metafora per spiegare quello che accade nell’Isola, quel microcosmo singolare in cui il tempo, lo spazio e a volte anche i colori restano immutati, dove il modo di approcciarsi all’altro, il senso dell’accoglienza e la capacità di adattamento e con essa di sopportazione del turista si dice che sia sempre la stessa. Mai mi era capitato di immaginare che l’evoluzione dei tempi e con essa il crescente bisogno di nuove fonti di guadagno, al di là di quella tradizionale del mare, fosse significativamente racchiusa e rappresentata in una semplice parola chiave ideata e proposta dall’esercizio commerciale più noto e più frequentato, guarda caso, soprattutto dai turisti.
Un’ idea geniale che esprime e rappresenta tutto il linguaggio isolano, una sorta di “Vefio” del turismo, che si adatta ali tempi dell’elevata tecnologica. Apparentemente banale questa storia racchiude tutto il concetto che nel passato ha rappresentato il turismo per i Procidani, un’invasione a tutto campo del territorio, da sempre considerato dei “Procidani”, un disturbo alla loro privacy e al loro scorrere della vita che, per forza maggiore, imponeva un maggior controllo del territorio e qualche regola da rispettare.
In quei tempi nessuno si sarebbe mai aspettato che le generazioni future non avrebbero più avuto quell’amore per il mare delle pregresse generazioni, non avrebbero mai immaginato che si poteva guadagnare e bene facendo turismo, aprendo le porte a quanti avevano desiderio di venire ad osservare da vicino le bellezze e la storia dell’Isola di Arturo, di quanti, come diceva Elsa Morante , volevano immergersi nelle acque di questo mare. E allora un po’ per caso, un po’ per necessità, un po’ per volontà di quanti non volevano più percorrere la via quasi obbligata del mare, le porte alle attività turistiche si sono aperte e con esse la gioia di vedere Procida frequentata da stranieri che prima passavano veloci diretti ad Ischia, la crescente offerta alberghiera, in molti casi raffinata e al passo con uno standard di livello, la migliore pulizia del territorio e quell’iniziale cambiamento alla accoglienza che era stato l’anello debole per lo sviluppo de turismo.Sempre la stessa dunque, a mio avviso oggi è una bella metafora perché ci ricorda il tempo in cui non si voleva trasformare “l’Isola dei naviganti in un Isola di camerieri”, perché ci rammenta la mancanza di lungimiranza di chi ci ha preceduti, perché ci fa riflettere sui nostri errori e soprattutto sulla incapacità, spesso voluta, di guardare avanti in un’ottica meno personalistica, ci inserisce nella politica di diversificazioni delle potenzialità del territorio, unica ricchezza per le future generazioni e, soprattutto ancora una volta, ci fa capire che dobbiamo preservarla dalla cementificazione selvaggia, da quanto di immondo è stato fatto fino ad adesso e lasciare che chi viene da fuori ad ammirarla e a viverla possa esclamare: Procida è bella perché è “Sempre la stessa”.
Traggo spunto
da questo scritto del Preg.to Dott.Finelli che esprime e sintetizza cosi bene pensieri,sentimenti,storie di procidani.
L’espressione ” sempre la stessa ” presa a prestito da quel divertente diverbio ,è usata dal Finelli come metafora per una diversa interpretazione del mondo attuale dei procidani.
Più che un augurio,un desiderio,è nostalgia per un tempo che fù e non è più.
Non voglio fare paragoni con i tempi passati.
Certo,tutti vorremmo dire : ” Procida è sempre la stessa “,ma,purtroppo,non è così.
Procida e i procidani è antropologicamente e culturalmente,cambiata ” radicalmente “.
E’ una metamorfosi totale,le degenerazioni e le distruzioni del tessuto connettivo, intriso di solidarietà,di socialità,di rispetto degli altri e del territorio,quel modo di vivere disincantato e demodè è ,praticamente,” morto e sepolto.
Siamo diventati come ,veramente,un ” prolungamento ” della terraferma, una “land” ,un quartiere,un corso di Napoli, con tutte le negatività,moltissime,e pochissimi vantaggi.
Oserei dire che volendo usare un’espressione per caratterizzare l’isola e gli isolani, non direi,assolutamente,:” sempre la stessa..”
perchè menzognera e falla ce
ma,direi : “Procida,l’isola che non c’è più ”
oppure : “Procida fu “
Sono d’accordo con Geppino, procida fu è più adatta.
Il sogno di un tempo andato