Sebastiano Cultrera | È terminata giorni fa, con l’esibizione del cantante imitatore Francesco Cicchella, la 67 edizione della Sagra del Mare: una edizione targata Made in Sud. Ai tanti ammiratori del programma questa festa sarà particolarmente piaciuta, e la buona partecipazione di pubblico sembra dare ragione agli organizzatori.
A me è piaciuta Fatima Trotta, che segna il ritorno di una buona professionalità alla conduzione della serata della Graziella; è stata giustamente riservata una serata all’anniversario della Banda Musicale , che è un bene culturale procidano; mi è piaciuto meno Simone Schettino risultato scontato e banale. La Sagra è tornata, dopo qualche idea di cambiamento (tipo il cantante che si inserisce nel territorio, con Bennato, o altre innovazioni), alla perfetta continuità col passato; cioè nello schema base del pacchetto (presentatore più comico più cantante più fuochi d’artificio) che regge negli ultimi decenni. Caratterizzandola come festa di paese, nobilitata dagli abiti indossati dalla meglio gioventù femminile dell’isola: talvolta bene , talvolta meno bene. Nonostante il rientro dei giochi nautici (quest’anno in sordina) continua a mancare il Mare e continua a andare in scena una Sagra piatta e tranquilla, con qualche concessione di troppo al dilettantismo e all’improvvisazione ( soprattutto negli aspetti tecnici e organizzativi). Ciò in perfetta continuità con gli ultimi decenni.
Ma andiamo con ordine. Cosa rappresenta o cosa dovrebbe rappresentare la Sagra del mare nella Procida di oggi? Come si inserisce e quale significato porta la storia di Graziella ed il suo mito?
L’idea della sagra del Mare è legata all’antica tradizione del tributo al Mare durante il solstizio d’estate. Una antica celebrazione della “notte più breve dell’anno”, erede della tradizione di riti pagani, assunti poi dalla tradizione cristiana che fece corrispondere, nel periodo di apertura dell’estate, la Festa di San Giovanni a Mare; proprio nel giorno di San Giovanni, cioè il 24 giugno. La Sagra del Mare, anche a Procida, nasce, infatti, tradizionalmente, nei periodi dell’esordio dell’estate (fine giugno o inizi luglio). Nasce come celebrazione del Mare in quanto Acqua Madre (e matrigna) dei destini del luogo e dei suoi abitanti. Nasce con canti e balli, con pesce e frutti di mare da mangiare e con un momento di riflessione e devozione corale.
L’attenzione ai Marinai caduti nel mare, e l’affidamento dell’isola alla Madonna (alla Stella Maris che guida il cammino) costituisce, ancora, l’aspetto trascendente della festa, che per i fedeli è un momento alto di devozione collettiva. La Sagra è essenzialmente una festa, ma una festa fortemente identitaria, dove gli elementi della tradizione dovrebbero rimanere punti di riferimento. Il Mare, quindi non dovrebbe essere solo fonte d’ispirazione o terreno di gioco, ma costituire l’essenza stessa della festa. “Il Mare colore del vino” di Omero e, poi, di Sciascia è lo stesso Mare di Procida, coi suoi problemi, ma con le sue bellezze e con i suoi significati. Primo tra tutti quello di elemento catalizzatore della nascita della vita, liquido amniotico dell’umanità (come nel grido meravigliato, nell’Ulisse di Joyce: Talatta! Talatta!).
E come simbolo della Rinascita in Cristo nel rito del Battesimo di San Giovanni Battista. Quindi tutto torna.
E il Mare in tempesta regala a Procida un grande personaggio storico e letterario: Alphonse de Lamartine, politico e letterato francese, che si innamorò di Graziella e dell’isola di Procida. E con il suo romanzo sta facendo, ancora oggi, innamorare tanti francesi, e non solo, della nostra isola. L’elezione di Graziella ogni anno tramanda fascino e attenzione, e anche quest’anno (caldo, Schettino e problemi audio a parte) ha regalato emozioni e magie ad una festa che ha come maggiore valore identitario, oggi come oggi, proprio gli abiti delle Grazielle. Ciò non è un male, anzi. È una tradizione meravigliosa, da non perdere, e va fatto un plauso a chi si sta adoperando a mantenerla viva, salvaguardando un vero valore culturale e un pezzo importante della nostra identità.
Ma la Graziella, oramai da anni, è orfana di Lamartine. La forza storica, suggestiva e morale dello scrittore francese sembrano annacquate in poche citazione del romanzo che, talvolta, sono proposte. Invece, secondo me, si dovrebbe ripartire proprio da lì, dal Mare e da Lamartine, per valorizzare gli aspetti identitari di una Festa, proponendoli come valori universali. Ancora di più oggi, quando l’isola è invasa da un turismo internazionale, avido di proposte culturali autentiche. La coerenza degli amministratori precedenti rispetto all’idea strapaesana di “piccolo Sanremo” ha impedito una evoluzione e una vera valenza turistica della Sagra. Adesso il “cambiamento” proposto ci ha condotto ad un “piccolo Made in Sud”. Si continua ad andare fuori strada. Ma, fin quando la gente si diverte e tanti raccolgono targhe, citazioni, visibilità e soddisfazioni, anche solo per un giorno, va bene così!
Giustificata amarezza
nei toni risentiti
del dott. Cultrera ma,
rammentando le origini contadine e di semplici pescatori dei residenti stabili sull’isola,
certo non avremmo potuto sperare di meglio da un tipo di turismo che rimane ahimè
sempre di massa !
Purtroppo dove c’è numero
non sempre emerge qualità …
E bisogna rammentare anche le difficoltà logistiche d’un territorio che, deprivato dei poteri d’autonomia dovuti alla scarsa organizzazione dei collegamenti per mare e per terra, cerca di adeguarsi
come può alle sollecitazioni esterne, anche di tipo commerciale .