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L’editoriale di Sebastiano Cultrera: «PROCIDA ‘900»

Ditgprocida

Ago 22, 2017

Sebastiano Cultrera | La “Chiesa Nuova” nell’isola di Procida è la Chiesa della Congregazione della Immacolata Concezione dei Turchini: in questo luogo, denso di storia e di tradizione si è presentato l’ultimo libro di Sergio Zazzera dal titolo “Procida 900”.

Si è trattata di una serata piacevole, per quanto immersa nel caldo agostano, mitigato, in parte, dalla bellezza dei luoghi .

Ci accolgono il Priore Mimi Lubrano Lavadera e l’ex priore Gabriele Scotto di Perta, entrambi amanti della storia di Procida, tanto da aver allestito, nei locali della Chiesa, una interessante Mostra di documenti d’epoca su alcuni passaggi fondamentali della Storia Procidana. Si tratta di un percorso culturale e artistico meritevole di essere vissuto.

Dopo i saluti del Priore e del Sindaco la parola va alle storiche: cioè alle professoresse Franca Assante e Raffaella Salvemini. Ciascuna sottolinea una parte dello scenario storico che sottintende la ricerca di Zazzera.

L’affievolirsi della marineria, la chiusura dell’Istituto Nautico, le guerre, gli sviluppi della economia e dei costumi vengono analiticamente passati sotto la lente delle docenti di Storia, con metodo, ma anche con l’emozione di chi sa di parlare di fatti relativamente recenti della vita della propria isola.

Zazzera ha messo in opera il prodotto di un lavoro particolarmente meticoloso, attento e documentato. Non solo la mole e la precisione delle note, per ogni capitolo, garantiscono la fondatezza dei suoi contenuti, ma anche la divisione, per argomenti, mette in riparo l’autore dal dovere improvvisare alcune consecutio temporali forse ancora non accertate dalla ricerca storica.

Il “secolo breve” di Procida, in questo modo, appare agile e denso di vicende storiche forse slegate tra loro, ma unite da un unico scenario e dalla medesima passione. Compaiono, quindi, davanti ai nostri occhi, personaggi e comprimari di alcune delle più significative storie del secolo, in un fluire delimitato, sostanzialmente, dalla fine della prima guerra mondiale al crollo del Muro di Berlino, che sono i limiti, per definizione del “secolo breve”.

La crisi della marineria viene bene descritta ma la dinamica rimane legata ad ipotesi, che sono perlopiù concause (avvento del motore e crisi dei noli, distacco di Monte di Procida, impossibilità di costruire cantieri più grandi, emigrazione). E credo che il processo di tale crisi attraversi l’arco di almeno due o tre decenni a cavallo dei due secoli. Eppure alcune famiglie armatoriali avevano ancora capacità di investire e di diversificare. La Belle Epoque di Napoli esplose nei Cafè Chantant, e tra i locali famosi che fecero la Storia della canzone napoletana, fino ai primi decenni del 900 ci fu il caffè Scotto Jonno, nella Galleria Principe di Napoli, realizzato e gestito dalla famiglia di armatori procidani Scotto di Jonno. Di certo soldi a Procida ne giravano ancora.

Sul ventennio fascista si nota la premura dello scrittore di procedere, ancora di più, in punta di penna, senza giudizi sommari. Giungendo però (non si sa se per estremo garbo o per ignoranza dell’episodio) alla rimozione del tragico corollario della vicenda Schiffer. Che non si esaurì con l’olio di ricino, ma che, come ha scritto e raccontato Davide Schiffer, terminò con l’internamento e la morte del padre Alessandro Schiffer ad Auschwitz.

Altre domande rimangono, per quel periodo, tuttavia, inevase. La soppressione della Scuola Nautica (e sembra che il professionale Marittimo sia stato mal sopportato dai rappresentanti isolani del regime), la scomparsa di alcuni uffici pubblici o il loro spostamento nella vicina Ischia (per la riscossione delle Imposte, ad esempio), e un generale impoverimento medio della popolazione (sempre più dipendente dalla panificazione pubblica) compongono un quadro di arretramento dell’isola durante il ventennio. Si ha, invero, la sensazione che Procida, durante il fascismo subisca uno dei periodi di maggiore decadenza. Potrebbe essere a seguito della crisi dell’armatoria degli anni precedenti? Si tratta di una condizione generale del territorio italiano (che pure, in talune zone aveva visto parte del tessuto economico rinascere)? Il centralismo tipico dei regimi autoritari sfavorisce le periferie e Procida rimane ai margini di fenomeni economici importanti (la cantieristica vede rafforzare in quel periodo i cantieri del Nord, come quello di Monfalcone)?

Sarebbe, forse, anche da indagare meglio il ruolo e le vicende della famiglia più influente di Procida dell’epoca, cioè la famiglia Scialoja, e i suoi rapporti (non formali) col fascismo.

Non dimentichiamo che la Pace di Versailles fu firmata, per parte italiana, dal delegato e poi ministro degli Esteri, Vittorio Scialoja, che oramai viveva a Roma, ma continuava ad avere rapporti strettissimi con la propria isola, fino a tornare a fare il Sindaco di Procida, subito dopo.  E non dimentichiamo che quei Trattati di Pace (della cosiddetta Vittoria Mutilata) non furono mai amati dal Fascismo.

Suscitando dubbi e aprendo domande, il libro di Zazzera, quindi, mantiene ciò che promette, come spiegato dall’editore Enzo Colimoro, ed è una buona base di ricerca organica e organizzata per una Storia cronologica del 900, tanto da potere essere proposta nelle Scuole isolane.

La sua struttura costituita da vicende mirate, in una forma molto simile alle Cronache di stile francese (alla Stendhal, per intenderci) come sagacemente ha fatto notare Tjuna Notarbartolo, rende la lettura particolarmente agile e interessante. E’ un libro da leggere.

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