Sebastiano Cultrera | La contrapposizione tra Procida e Monte di Procida non è solo dannosa: è inutile. Si tratta, infatti, di due territori con la stessa storia, gli stessi costumi, le stesse tradizioni e con le stesse famiglie d’origine. I montesi sono un poco (molto) procidani e i procidani sono un poco (molto) flegrei, come i montesi. Prima di approfondire questo concetto veniamo al fatto di cronaca.
Alcuni cittadini di Monte di Procida protestano, con lettera ufficiale, contro il traghetto con Procida che impedirebbe lo sviluppo turistico della zona di Acquamorta. Ciò a dimostrazione non solo del principio che vuole sempre incinta la mamma di certe particolari persone (Procida, con tutte le sue contraddizioni, è molto più turistica del Monte), ma anche del fatto che, per ogni fenomeno, spesso, ci fermiamo a valutare aspetti secondari, e non quelli principali: la zona di Acquamorta ha bisogno di maggiori collegamenti, terrestri e marittimi, per svilupparsi ulteriormente, non di ridurre quelli esistenti. Non mi sembra, tra l’altro, si sia incrementato il traffico veicolare commerciale; ma forse sono stato sempre fortunato, perché quando ho preso il Laziomar ho sempre incontrato soprattutto automobili con trasporto privato. Cosa dovrebbe dire, allora, il Comune di Pozzuoli (che pure abbiamo bacchettato duramente quando si è permesso di regolamentarne il passaggio, che vede transitare sul proprio territorio ben altra tipologia di automezzi)?
Si tratta, evidentemente di una alzata di testa conseguenza del caldo eccessivo di questa estate.
Che non ha risparmiato e non risparmia alcuni miei concittadini isolani, naturalmente. Che ritengono inutile detta tratta, anzi dannosa. Non mi dilungo sui presunti motivi per carità di patria.
Provo invece a tornare sull’idea della Grande Procida.
Molti montesi si sentono, ora, cittadini, nella metropoli di terraferma. Hanno esercitato maggiore attitudine imprenditoriale e commerciale e vedono la nostra isola non come madre, ma come luogo del passato. Troppi procidani hanno anche loro rimosso il proprio passato e considerano i montesi dei “parvenu” che, per fare cocciutamente sopravvivere una tradizione armatoriale, hanno cercato ogni genere di mercato, in ogni genere di posto del mondo. I procidani invece sono rimasti “Signori”, soprattutto perché negli anni 60 hanno trovato il petrolio. Non nel proprio territorio né nel mare circostante, bensì quello delle petroliere. La valenza marinara che accomuna i due popoli (in realtà si tratta dello stesso popolo) è stata, quindi, investita in attitudini diverse. Procida continua a sfornare eccellenti ufficiali e il Monte continua ad alimentare la fiammella della armatoria.
Il mare, la navigazione, il talento marinaro sono i tratti comuni del popolo procidano (isolano o montese).
E sono anche il tratto distintivo della identità di questo unico territorio UNITO dal mare che la Storia ha voluto essere il depositario finale, forse il custode, di tutta la incredibile storia flegrea.
La Storia flegrea parte da Cuma e, subito dopo, da Miseno. Quella grande Storia, unica al mondo, dei Campi Flegrei, culla della civiltà classica.
Il Monte era sicuramente un luogo eccellente di osservazione nel cuore del Mare Tirreno ed è probabile sia stato un avamposto della antica Cuma, come Miseno divenne il fulcro della sapienza e potenza della marineria greca e romana. Se il Monte di Procida aspirava ad essere la “Nuova Cuma” (tale fu il nome proposto da alcuni montesi all’epoca della separazione del Comune da quello di Procida), Procida può vantare di essere la Nuova Miseno. Infatti le fonti storiche concordano sul fatto che la Procida medievale fu “fondata” dagli abitanti di Miseno che sfuggirono alla invasione ed occupazione saracena.
Naturalmente le città di Partenope (Napoli, che fu “fondata” come una Nuova Cuma) e di Puteoli (l’odierna Pozzuoli) sono le città che, in terraferma, hanno maggiormente sviluppato (nei secoli e nella contaminazione con altre culture e successive dominazioni) le potenzialità culturali ed economiche di Cuma e di Miseno e di tutto quell’irripetibile coacervo di energie, di risorse e di conoscenze che fu l’area dei Campi Flegrei.
Fu almeno dall’anno mille (nel periodo che gli storici definiscono Basso Medioevo, ma che segna già, almeno nei nostri territori, l’inizio della rinascita “umanistica”) che i territori della “Grande Procida” ( Procida e Monte di Procida) sono governati da un unico signore: della famiglia dei “da Procida”.
Federico II, imperatore normanno –svevo, che unifica Napoli con la Sicilia sotto la corona imperiale, offre alla storia un antipasto di Rinascimento, nella sua corte dedita alle lettere, alla scienza e alle arti. Per esempio viene valorizzata lì, prima di altrove, la lingua volgare del dialetto italico. Il suo uomo più fedele e più vicino risulta essere (anche all’atto del testamento che lo vede firmatario) il medico e politico Giovanni da Procida, signore della Grande Procida. Questi sarà un personaggio politico centrale del XIII secolo, che determinò i nuovi equilibri del Mediterraneo (favorì, tra l’altro, coi Vespri Siciliani, la venuta degli Aragonesi).
In ogni caso i territori procidani (isolani e montesi) fruiscono direttamente, e sono interpreti della grande Storia di Cuma e di Miseno e dei Campi Flegrei, che confluisce nella Storia della Grande Procida.
Vi sembra poco, tutto ciò, per non immaginare ancora un futuro insieme o, in qualche maniera, d’accordo e di stretta sinergia comune?