Redazione | Ad una settimana dai festeggiamenti settembrini del patrono dell’isola di Arturo, una storia molto affascinante di particolari, ha attirato la nostra attenzione. E cioè la storia di un monaco procidano che grazie all’intercessione dell’arcangelo Michele, riuscì a sconfiggere il maligno. La riproponiamo così come descritta nell’ultimo numero di Procida Oggi.:
«Fecit victoriam alleluia 1542 Carafa».Questa è l’iscrizione posta sulla tavola pittorica di «San Michele che scaccia il demonio» conosciuta anche con il nome della famosa leggenda «Il Diavolo di Mergellina» dipinta da Leonardo Grazia da Pistoia e posta nella Chiesa di Santa Maria del Parto a Napoli, Mergellina. Una superba composizione cui la figura guerriera dell’Arcangelo Michele, scaccia il demonio dal cielo, ritratto col volto di una bella donna dai capelli biondi.
Iniziamo da questo bellissimo dipinto del 1542 per legarci alla storia che porta il suo nome, quello di Vittoria D’Avalos: lei la bellissima nobildonna napoletana, invaghitasi dell’affascinante Diomede Carafa, il Vescovo di Ariano Irpino e che attraverso il ricorso di una potente fattura d’amore, tentò di incantare l’uomo di chiesa al fine di ottenere il suo amore.
« Si bella e ‘nfama comm’ o riavule ‘e Margellina. » E’ il detto popolare che alcuni anni fa, gli uomini rivolgevano alle donne ammaliatrici dell’incantevole Borgo Marinaro che esercitavano il loro fascino naturale per stregare il cuore e l’anima degli uomini, sotto effetto del gioco d’amore.
E questo strano potere occulto, soggiogò il protagonista della storia Don Diomede Carafa, quando incrociò lo sguardo della bella Vittoria D’avalos (trattasi secondo le cronache di una giovane del ramo d’Avalos che era stata novizia del Monastero di Sant’Arcangelo a Baiano in Forcella il convento che suscitò tanti scandali) rimanendo vittima del desiderio d’amore.
Si narra che Vittoria era una fanciulla dall’incredibile bellezza, un’incarnato chiaro e capelli biondi e modi gentili che incantava tutti; ben presto abbandonò il noviziato e l’idea di elevarsi a vita spirituale per andare incontro al matrimonio.
Questa idea maturò quando conobbe Don Diomede Vescovo di Ariano, un uomo di bell’aspetto e dall’affascinante eloquio che la conquistò a prima vista e in pochi secondi Diomede divenne l’oggetto del desiderio, intenzionata a conquistarlo con tutti i mezzi e a qualsiasi costo, nonostante la sua posizione ecclesiastica.
Così convocò un nota strega del posto detta l’Alamanna che in poco tempo preparò per lei una potente fattura d’amore che colpì l’ignaro prete. Infatti l’elisir si concentrava in alcune fritelle dolci e nel biancomangiare che la bella Vittoria aveva preparato con le sue mani, pronte ad offrirle a Diomede, come“lemosina per i poveri”nella speranza di raccomandarla alle sue preghiere e a San Raffaele per trovarle marito.
L’uomo accetto di buon grado e assaggiò quelle delizie con tanta premura; ma improvvisamente una insana passione cominciò a divorarlo e non riusciva a distogliere l’immagine e il sorriso di Vittoria dalla sua testa.
Le preghiere da sole non bastavano, ogni ora era un tormento, e ciò comprometteva il suo voto di castità, il suo onore, e la sua carriera ecclesiastica. Lei era il suo demonio, la tentazione carnale fatta donna. Non aveva speranza.
Intuì che dietro quest’ossessione insana si poteva nascondere una fattura d’amore, molto diffusa in quel tempo, e pensò bene di servirsi di un’abile esorcista per spezzare l’incantesimo di Vittoria. Convocò una sua vecchia conoscenza, un monaco procidano esperto di negromanzia, magia ed esorcista autorizzato dal Cardinale di Napoli.
Ebbe luogo in gran segreto il consulto fra Diomede e il monaco sulla vicenda e dopo aver meditato sulla possibile soluzione, trovò la formula adatta per scacciare il demonio suscitato da Vittoria.
Il monaco estrasse due immagini: la forza buona dell’Arcangelo Michele il guerriero di Dio, accostato all’immagine di Lucifero, l’angelo ribelle Signore del male.
Pregò intensamente per allontanare il maleficio e consigliò a Don Diomede Carafa di commissionare ad un valente maestro di pittura, un dipinto i cui colori dovevano essere impastati con un balsamo speciale che sarebbe servito come anti fattura, al rituale esercitato; posto poi in un luogo sacro e benedetto con acqua santa.
L’unica condizione posta dal monaco e che il volto del demonio doveva essere il ritratto di Vittoria, la sua bellezza che incarnava le forze del male; da cui la scritta «Fecit victoriam alleluia 1542 Carafa» che allude alla vittoria del bene sul male, riferendosi all’episodio di stregoneria e diventato poi un ammonimento, conosciuto nel lessico popolare con il nome o riavule ‘e Margellina.
L’episodio è citato anche da Benedetto Croce nel suo celebre volume Storie e leggende napoletane, dove tratta questo caso di fatturazione d’amore, una pratica molto diffusa nel cinquecento napoletano per conquistare l’amore di uomo o di una donna attraverso incantesimi di magia, filtri e porzioni, preparate da abili fattucchiere, tipiche streghe napoletane