Redazione | «Quella mattina del 16 marzo del 1978 eravamo all’ingresso della Manica. Il canale, sulle carte nautiche è diviso in due parti, come se fosse una strada con due corsie: una che sale e una che scende. In quel tratto c’è un traffico di navi incredibile, vanno e vengono come in un’autostrada e noi stavamo proprio nel mezzo, e all’improvviso si ruppe il timone». Le parole raccolte da monitor.it dell’allora terzo ufficiale D.C, uno dei cinque procidani a bordo dell “Amoco Cadiz”, fotografano al meglio gli attimi che precedettero quella che è considerata una delle più grandi sciagure ambientali del secolo scorso. Ma procediamo con ordine.
In viaggio verso Rotterdam dal Golfo Persico, la Cadiz incontrò condizioni climatiche avverse nel canale della Manica. Alle 9:45 circa, un’onda colpì il timone della nave e la stessa, in seguito a ciò, perse letteralmente la bussola; questo a causa di un difetto meccanico che causò la perdita di fluido idraulico.
Dopo aver cercato di riparare il danno, alle 21:04 l’Amoco Cadiz si arenò per la prima volta e la sala motori si allagò, poi, alle 21:39, la nave si arenò per la seconda volta, squarciando lo scafo, e così iniziò la fuoriuscita di petrolio.
Nonostante l’arrivo di un potente rimorchiatore d’altomare, ci fu un ritardo operativo dovuto all’attesa dell’autorizzazione da parte della società Amoco. “Ritardo burocratico” che si protrasse a causa della TRATTATIVA in corso tra le parti sulla formula NO CURE NO PAY (Pago se mi salvi). Il comandante fu costretto ad attendere l’ordine dei dirigenti, ma a causa dei fortissimi venti, la superpetroliera raggiunse in poco tempo gli scogli affioranti in prossimità della costa e qui s’incagliò, alle 10 del 17 marzo la nave si spezzò in due riversando il suo carico inquinante di 1,6 milioni di barili di petrolio proveniente principalmente dall’Arabia Saudita e dall’Iran.
Mentre i membri dell’equipaggio furono tratti in salvo da un elicottero della marina francese, con la “Amoco Cadiz” affondarono però i tanti PERCHE’ e i tanti dubbi su tutta la gestione di quella operazione che – molto probabilmente – avrebbe potuto avere esiti diversi. E le bocche cucite di quei protagonisti, forse, ne sono la conferma.
Il disastro fu totale. Ben 12 km di estese chiazze di petrolio vennero “spalmate” su 72 km di coste francesi da venti provenienti prevalentemente da ovest, i quali propagarono la 2 marea nera fino a circa 160 km a est lungo la costa nel mese successivo; una settimana dopo la catastrofe, il petrolio aveva raggiunto la Cotes d’Armor. Il petrolio si addensò nella sabbia di diverse spiagge fino a una profondità di 510 mm, mentre il petrolio che si trovava sotto la superficie del mare si divise in due o tre strati a causa dei grandi smottamenti di sabbia, dovuti al maltempo, che si verificarono sulle spiagge. I moli dei porti da Porspoder a Brehat furono ricoperti da petrolio; altre aree interessate dalla marea nera furono le spiagge di granito rosa di Tregastel e Perros – Guirec, come le rinomate spiagge frequentate da molti turisti all’anno di Plougasnou. Un mese dopo la catastrofe, l’estensione del petrolio interessava circa 320 km di coste. Il petrolio rimase solamente un altro paio di settimane lungo le coste rocciose, che sono costantemente esposte a movimenti ondosi importanti, mentre nelle zone protette dalle onde il petrolio formò una crosta di asfalto per diversi anni.
La posizione, non proprio vantaggiosa delle terre colpite, e il mare burrascoso non resero certo semplici gli sforzi di pulitura; inoltre, la composizione del petrolio contribuì alla rapida formazione di un’emulsione di petrolio e acqua che venne chiamata “mousse al cioccolato” e che rese ancora più difficoltosi i tentativi di pulitura e di drenaggio. La formazione di questa emulsione fu un clamoroso “autogol” da parte delle autorità francesi, deputate alle operazioni di pulizia. Queste, infatti, decisero di non usare solventi nelle aree in cui l’acqua era profonda meno di 50 metri; se i solventi fossero stati invece applicati per via aerea vicino alla fuoriuscita del petrolio, l’emulsione non si sarebbe sicuramente formata.
Allo stesso tempo, e forse questo è l’effetto più importante, il disastro dell’Amoco Cadiz provocò la più grande perdita di forme marine mai ricordato prima a causa di una fuoriuscita di petrolio. La maggior parte degli animali morì nei due mesi successivi la catastrofe, mentre due settimane dopo, milioni di molluschi, stelle marine e altri microrganismi marini giacevano sulle coste e sulle spiagge già imbrattate dalla marea nera. Gli uccelli acquatici costituirono la maggior parte dei circa 20.000 uccelli morti che furono recuperati. La quantità complessiva delle ostriche morte, una specialità in quella zona della Francia, fu stimato in circa 9.000 tonnellate, e i pescatori catturavano pesci con ulcere cutanee e tumori. Insieme ai danni causati dal petrolio, l’attività di risanamento colpì anche le aree paludose e salmastre della Bretagna, con un tempo di recupero che fu stimato in 5 anni. I tassi di crescita di numerose specie di pesci rallentò e i ricercatori, all’epoca, stimarono inoltre che l’intero ecosistema non sarebbe tornato ai livelli di prima della fuoriuscita per diversi decenni. Come è già stato detto, la tragedia dell’Amoco Cadiz è stata una delle fuoriuscite di petrolio più studiate della storia, e per il risanamento del mare e delle coste sono state usate alcune delle tecniche più innovative presenti all’epoca visto che, prima della catastrofe in Louisiana del 2010, era stata la più grande fuoriuscita di petrolio mai registrata. Inoltre, questa è stata la prima in cui sono stati interessati anche estuari di fiumi. In molti luoghi, in cui non è stato fatto nessuno sforzo per re-immettere la ghiaia sottratta per abbassare il fronte della spiaggia, si è verificata un’erosione delle spiagge stesse. Prove di sedimenti di spiaggia ancora sporchi di petrolio si possono osservare a tutt’oggi in alcune di queste aree protette, e inoltre strati di petrolio giacciono ancora sotto molte delle spiagge colpite.
Nel 1978 venne calcolato che questa tragedia aveva arrecato danni alle industrie ittiche e ai servizi turistici per 250 milioni di dollari. Il governo francese presentò un conto salatissimo al governo degli Stati Uniti: 2 miliardi di dollari. Com’era prevedibile, ci furono maree di ricorsi e le sentenze definitive dovettero aspettare ben 10 anni. Nel 1988 un giudice federale degli Stati Uniti impose alla Amoco Oil Corporation il pagamento di una multa di 85,2 milioni di dollari, consistente in 45 milioni di dollari per il costo del petrolio e in 39,5 milioni di interessi. Nel successivo procedimento giudiziario a Chicago, i proprietari della petroliera furono definitivamente assolti, mentre la Francia, nel 1990, ottenne un risarcimento di 120 milioni di dollari dalla Amoco