Sebastiano Cultrera – Non mi avrete! Sacerdoti tardivi e interessati di tradizioni mai rispettate (e già stuprate e sbeffeggiate, magari col vostro benestare), non mi avrete al vostro fianco nel peana contro la “innovazione modernista” che starebbe inquinando le genuine tradizioni locali. Né mi sento rappresentato dai tanti che si affannano, oggi, ad appuntarsi la medaglia di difensori dei nostri giovani procidani: da una ingiustizia subita nelle acque della festa di Sant’Anna.
Ma non perché una qualche ingiustizia non sarebbe stata perpetrata (è mai possibile che la “barca” procidana non meritasse nessun premio?) ma perché le categorie del campanilismo e della tradizione non sono quelle giuste ed appropriate per difendere la rappresentazione dell’isola di Graziella.
Perché la vera barca innovativa era proprio quella procidana, con un concept dadaista e con accostamenti azzardati, ma splendidamente riusciti. La si può ancora ammirare, in tutta la sua provocatoria bellezza e disarmonica armonia, ancora nel porto della Chiaiolella, con il suo profilo rovesciato ed esplosivo, col suo cappello di storia e di contrasto di forme e di significati: un contrasto epistemologico, prima che gravido di creatività artistica!
La tradizione è stata, proprio qui, mirabilmente rivoltata come un calzino; coerentemente con l’esprit du temp (i sentimenti ricorrenti del tempo in cui viviamo). Coerentemente con l’idea di una “Grande Bellezza” che continua ad esistere solo nella dimensione della decadenza; e intrisa, ahimè, da una diffusa consapevolezza della Fine.
La non-arte tramite l’arte (e l’artigianalità) purissima della barca di Procida si è trovata a “scontrarsi” con il tentativo di fare “rinascere” le forme dal nulla (o da un telo bianco) in uno spettacolo (pur bello e piacevole, con tratti di pregio) che ripartiva da zero, sancendo l’impossibilità di questa arte a rigenerarsi in corsa, in un messaggio, in definitiva, pessimistico.
Le dinamiche sull’assegnazione del Premio sono sempre più o meno discutibili (ma il nome di Bellenger mi sembra una garanzia). Però ciò che emerge è la crisi plastica della stessa rappresentazione di Sant’Anna.
Tra le dichiarazioni più disparate e le impressioni più varie mi sono piaciute quelle di alcuni ragazzi di Procida di rispetto del lavoro dei colleghi di Ischia, pur nella amarezza del momento. E mi sono piaciute le tantissime attestazione di persone ischitane al merito dei ragazzi di Procida, e in particolare al genio del creatore della barca Giuseppe Lubrano e della associazione “L’isola dei Misteri”. Molti ischitani hanno riconosciuto che la barca di Procida avrebbe anche meritato di vincere.
Non mi piace, tuttavia, che si insista sulla banalizzazione dello strumento espressivo della barca ischitana. A chi parla, infatti, in termini dispregiativi, di un “telo bianco su dei ferretti” ricordo che, da oltre un secolo, miliardi di esseri umani si intrattengono, di tanto in tanto, a guardare un telo bianco: si chiama Cinema!
Le eccessive semplificazioni non portano da nessuna parte e servono, forse, solo a generare polemiche.
Le tradizioni non muoiono per eccessiva “modernità” o per delle sperimentazioni. Stanno morendo da tempo (non da oggi) perché manca una coerenza intrinseca, perché non reggono le finalità culturali di taluni eventi.
Da tempo sostengo che la Sagra del Mare deve ritrovare le proprie ragioni nella cultura del Mare e smettere di scimmiottare (con la formula volere e non potere) il Festival di Sanremo.
Mi permetto, quindi, di dire agli amici ischitani che, forse, l’appannamento della festa di Sant’Anna viene dalla poca chiarezza su quali aspetti culturali, o devozionali (si tratta pur sempre di “un onomastico” di una santa) o storico artistici tenere in primo piano. Il rischio di un “Volere e non Potere” essere il PALIO DI SIENA, magari coniugato sul mare, lo vedo anche lì dietro l’angolo!
E gli scenari, straordinari ed irripetibili, delle nostre isole non ci salveranno dalla decadenza delle nostre tradizioni e, quindi, delle nostre Feste tradizionali.
Anche l’irripetibile scenario delle acque tra il Castello Aragonese e Ischia Ponte, con gli scogli di sant’Anna e tutta Cartaromana inserite nello straordinario colpo d’occhio potrebbe non bastare. Si tratta (solo) di una “Grande Bellezza” che emerge (in una svogliata decadenza) sulla storia sommersa del porto di Aenaria e delle sue navi romane. Storia che dovrebbe invece tornare ad essere linfa vitale per la cultura isolana.
Le due barche, quella che ha vinto e quella che (molto probabilmente) avrebbe dovuto vincere sono la certificazione di un limite espressivo raggiunto e superato, di una necessità di ripartire da zero.
Da quest’anno non sarà più la stessa festa. Da quest’anno le nostre isole hanno una riflessione in più da fare.