Gino Finelli – L’ora ed il tempo del rinnovamento del modo di pensare del popolo procidano è forse giunta. E’ giunta la necessità di mettere mano, in modo definitivo e con un pizzico di autorità, senza tener conto di esigenze specifiche e del volere della cittadinanza, all’emergenza traffico. Una emergenza che non deve essere vista solo in ragione di ingorghi stradali e di eccesso di veicoli, ma soprattutto in ragione della salute della popolazione, afflitta dai gas di scarico di ogni tipo. Polveri sottili, idrocarburi di ogni genere e gas tossici, riversandosi lungo il piccolo e stretto percorso stradale, formano un tunnel di inquinanti fortemente letali per la salute e, spesso questi inquinanti, si depositano sulle verdure esposte, in maniera assolutamente irregolare ed antigienica, dai fruttivendoli locali.
Strade piccole, un tempo usate solo per la circolazione di carrozze, cavalli e pedoni, divengono così un tubo di scarico attivo 24 ore al giorno e di cui la popolazione, forse disinformata del problema, non se ne rende conto. Già l’Isola vanta un alto primato di neoplasie di ogni genere e da medico, spesso, mi sono chiesto quale fosse la genesi. A queste si aggiunge anche oggi la costante presenza nell’aria di inquinanti che,oltre a danneggiare la nostra salute e rendere inutile qualsiasi tipo di prevenzione, arrecano anche un forte danno a quel che resta dei campi produttivi dell’isola e, di quell’oramai piccolo ricordo, dei bellissimi orti procidani.
Marina Grande, Marina Chiaiolella, percorso abituale e ripetuto più volte dai miei concittadini in auto o con due ruote, l’abitudine di usare il motore per andare a fare una piccola commissione, persino per il giornale o le sigarette, sono gli esempi di un modo di concepire il territorio che, non solo lo deturpa, ma soprattutto danneggia la salute dei suoi abitanti.
E allora cosa si deve fare?
Ci abbiamo provato tutti a modificare queste abitudini e, persino l’uso spesso sconsiderato e pericoloso delle biciclette elettriche, così ampiamente diffuse, non è stato sufficiente. Ne misure interdittive quali i divieti, di qualsiasi genere, sono riusciti a placare l’orgia di desiderio del mezzo a motore.
Il Procidano vuole usare la macchina o un suo simile, vuole arrivare sotto casa comodamente, vuole essere libero di fare il giro dell’Isola a qualsiasi ora e in qualsiasi posto senza limitazioni di alcun genere e, ottenendo questo, vuole inquinare il suo territorio, danneggiare fortemente la sua salute e arrecare danno all’immagine turistica ed alla storia dell’Isola.
Nessun amministratore ha mai avuto il coraggio di schierarsi apertamente in contrasto con questi desiderata e, nessuno ha mai definito, se pur nel tempo, un programma di educazione stradale e di incentivi, di modifica del trasporto pubblico, di miglioramento della mobilità. Circolano ancora auto vecchie e non vi è mai un controllo sulle emissioni nocive.
Nessuno ha mai avuto il coraggio di istituire, come esistono in tutti i comuni di Italia, zone a traffico limitato, percorsi pedonali e aree dove è assolutamente interdetta la circolazione. Mi si dirà il commercio le attività ecc. ecc. Ricordo che quando fu istituita al Vomero la zona di interdizione alle auto, lungo il percorso via Giordano, via Scarlatti, scesero in piazza migliaia di persone e soprattutto commercianti convinti di essere penalizzati. Se oggi qualcuno volesse rendere di nuovo transitabile alle auto detti percorsi, scenderebbero gli stessi, che allora fecero protesta di nuovo in piazza per chiedere la pedonalizzazione delle stesse aree. Questo per dire che è solo una questione di coraggio, di sfidare quella mancanza di consenso e di popolarità a cui nessun sindaco ha mai saputo rinunciare, di immaginare di costruire un percorso formativo di educazione alla salute e alla preservazione del territorio per le future generazioni. Un’Isola sostenibile nel tempo che non potendo espandersi deve necessariamente utilizzare al meglio i suoi spazi e evitare quel degrado urbanistico, tipico delle nostre periferie.
Oltre che Procidano di adozione sono anche medico, padre e nonno e il futuro di quelli che verranno mi preoccupa e non poco.
Ho visto nella mia vita di chirurgo molti danni alla salute legati all’inquinamento e sono disgustato che nessuno metta mano ad un massacro silenzioso che non occupa le pagine dei giornali.
Si finge di parlare di prevenzione, la ricerca della malattia allo stato iniziale, e si racconta che questa è la vera prevenzione. In realtà è solo quella che, in gergo medico, si chiama prevenzione secondaria, cioè scoprire la malattia che già esiste, allo stato iniziale con uno spreco di mezzi e di denaro. Ma nessuno ricorda che esiste una prevenzione primaria, quella cioè che consente di evitare che insorga la malattia e questa può avvenire solo attuando quelle misure di profilassi e di salvaguardia del nostro ambiente e del nostro cibo.
Spesso progresso e comodità non vano a braccetto con la nostra salute, speso alterano quello splendido equilibrio della natura modificando le fasi della nostra vita.
Abbiamo il dovere di porre rimedio, ciascuno di noi nel nostro piccolo e con le nostre possibilità, al degrado del nostro ambiente e questo lo dobbiamo, oltre che a noi stessi, a quelli che verranno.
In una piccola realtà come la nostra un po di coraggio e di determinazione, finalizzato al bene della popolazione, sarebbe un grande momento di svolta e di cambiamento e darebbe alla politica quella dignità che quasi sempre non ha.