Sebastiano Cultrera – Il loro nemico è il RIFORMISMO. Non sopportano l’idea che le cose, gradualmente, faticosamente, possano essere cambiate: in ciò che è realmente possibile cambiare, nelle situazioni date.
Preferiscono essere radicali nelle parole, immaginifici nei progetti, intransigenti nelle intenzioni, rivoluzionari nei party in terrazza. A loro non conviene l’idea di intervenire, con le giuste misure, nel corpo vivo della realtà data, anzi tendono a travisarla, la realtà (salvo sguazzarci dentro nei privilegi che essa offre); e preferiscono raccontare di una società immaginaria fatta di uguaglianza, di armonia e di giustizia. Propongono, infatti, i diritti senza i doveri, il reddito senza il lavoro, il cambiamento senza contenuti. Non sono più di sinistra, più rivoluzionari o più radicali: fanno solo della demagogia, producono solo aria fritta.
Hanno eletto a loro sacerdoti la casta delle procure d’assalto, censori di tutti i mali delle ingiustizie sociali. Valutano gli atti della politica secondo il metro della loro ideologia, piuttosto che sull’efficacia reale dei provvedimenti.
L’odio per RENZI è solo l’ultima stagione dell’odio verso il RIFORMISMO: nel 900 tanti danni hanno fatto il massimalismo e l’estremismo di sinistra (tra l’altro hanno, direttamente o indirettamente, sulla coscienza la partecipazione a due guerre mondiali).
Hanno usato, anche per Renzi, la tecnica stalinista dell’attacco alla persona e ai suoi affetti, sapendo di non essere in grado di reggere un confronto sulle idee, sulle differenze di linea politica, sulla capacità di governo.
La posizione di comodo dei rivoluzionari da salotto è condivisa, in Italia, da gran parte dell’establishment: nei media, nella burocrazia, nella magistratura e nella politica. “cambiare tutto, per non cambiar nulla” è lo slogan eterno degli eterni Gattopardi, siano essi giornalisti, attori, giudici, funzionari, politici o amministratori di enti pubblici o para pubblici.
Chi comincia a cambiare sul serio e decide, perfino, di riformare una democrazia vecchia ed asfittica come quella italiana, viene visto come un pericolo; e diventa un problema da rimuovere.
Ma non basta sconfiggere Renzi e il suo tentativo riformista, bisogna cancellarne le tracce, ed eliminare il rischio che riprenda la sua azione. “Cacciare Renzi e i renziani” tuona infatti Massimo Cacciari, il filosofo della “rivoluzione operaista” passato dai “Quaderni Rossi” allo sgarbismo televisivo (ma con meno verve ed efficacia dell’originale).
E dice bene. Per Cacciari e quelli come lui Matteo Renzi è portatore dell’infamia massima della sinistra dura e pura(?). Matteo Renzi si è messo, concretamente, a fare le Riforme. È un riformista vero, tenace e pragmatico; capace di incidere, sul serio, nel corpaccione malato della società italiana, Che è ammalato di pigrizia e di piccoli e grandi privilegi; ammalato di falsi egualitarismi formali e di tante discriminazioni di fatto; ammalato di ideologia.
Cacciari rivendica quindi il suo ruolo, quello di intransigenza formale nella ortodossia marxista e di sinistra e, nel contempo, nei fatti, difensore dello status quo dell’élite italiane. Le quali (con buona pace di Baricco) sono state, in molti casi, le mosche cocchiere del populismo. Un populismo nato nei salotti e svezzato da Grillo e Casaleggio, con la compiacenza dei sorrisetti di intellettuali e poteri forti: contenti di coccolare un irregolare della politica, da utilizzare secondo i bisogni. Poi, con campagne mirate, con il supporto di un fronte ampio di agitatori (a partire da giornali organici come il Fatto, ma coinvolgendo penne importanti dei giornaloni) si è poi giunti a suscitare lo sdegno e la rabbia del popolo, atto finale e non origine di questa pseudo rivoluzione.
Il massacro dell’immagine di Renzi e della Boschi sono significativi. Ma si è potuta brillantemente portare a termine perché era già collaudato e divenuto efficiente un meccanismo mediatico e giudiziario attrezzato allo scopo. Già operante in un quadro di voglia di “repulisti” indotto da parole d’ordine massimaliste o pseudo rivoluzionarie.
Insomma la “giustizia proletaria” non agisce più, fortunatamente, tramite agguati terroristici, ma usa, con medesime finalità le Procure e i giornali fiancheggiatori delle procure stesse. La fucilazione mediatico giudiziaria avviene sempre con gli stessi passaggi. Prima voci insistenti (dal sen fuggite) di una indagine: al fine di accendere il desiderio dei media, Poi l’indagine conclamata (preferibilmente amplificata da qualche arresto) spiattellata in prima pagina; poi qualche giorno di stillicidio di notizie scabrose su abitudini disdicevoli degli indagati (meglio se totalmente avulse dalle indagini, ma tratte da qualche intercettazione allegata) e quindi la demolizione dell’immagine è bella e fatta. E il popolo, giustamente, si indigna sempre di più.
Ma gli Agit Prop del populismo hanno avuto, ed hanno, in queste dinamiche, un ruolo fondamentale. E un ruolo hanno anche i “cattivi maestri” del populismo, che non sono solo Grillo e Casaleggio ma coloro (tipo Cacciari) che fiancheggiano ideologicamente il “repulisti”: la giustizia che fa piazza pulita. Allo stesso modo di come nel passato i cattivi maestri fiancheggiavano i terroristi. E, allo stesso modo di allora, i loro “nemici” più feroci sono i RIFORMISTI (come fu, ad esempio, con Guido Rossa e con Marco Biagi). L’origine del populismo italiano ha origini lontane e profonde, soprattutto nella storia della sinistra massimalista ed estremista. “Sono figli nostri” ha avuto il coraggio di dire qualcuno, in occasione della presentazione, a Napoli, dello splendido libro di Pietro Ichino. Che racconta, non a caso, il travagliato percorso per riuscire a rendere più efficiente, più trasparente e meno ideologico il mercato del lavoro in Italia; un percorso che Pietro Ichino ha coraggiosamente tracciato, ed è stato costantemente contrastato dalla parte più ideologica e massimalista della sinistra italiana, nei partiti e nei sindacati. Il Jobs Act ha avuto una forza prorompente nella sinistra. Con tutte le conseguenze del caso.
E, a pensarci bene, un leader che avesse avuto a cuore la sinistra forse non avrebbe dovuto osare tanto.
Ma è qui che si è notata la lucidità del disegno di Matteo Renzi e il suo autentico spessore RIFORMISTA. Perché un vero Leader fa quello che è giusto per il proprio PAESE, non per la propria parte politica. E, al di là della narrazione (macchiata su questo e altri atti di governo), rimangono i numeri: il Jobs Act è stata la Riforma più importante degli ultimi decenni al fine di aumentare il numero e la qualità (con stabilizzazione a tempo indeterminato) dei posti di lavoro, in Italia.
Il progetto politico riformista di Renzi andava, e va (ancora oggi, basta leggere il suo libro) in una direzione di costruzione di una ampia alleanza dei ceti produttivi, a scapito delle rendite di posizione; e prevede di riaprire, appena possibile, i dossier della modernizzazione delle istituzioni; di fare ripartire l’Italia.
Zingaretti? Si presenta come un modesto funzionario delle Botteghe Oscure, ma lasciamogli il beneficio del dubbio. Chi, come noi, è sinceramente riformista, non può che aspettarlo sui temi concreti. Per ora bene l’esordio sulla Tav, male sui primi atti di organizzazione del partito. Lo aspetta un passaggio difficile: attrezzare il Partito per l’Europee e decidere sulle alleanze e sulle candidature: Cacciari? NO GRAZIE! Per il resto vedremo.