Procida – La politica con la p maiuscola torna sull’isola di Arturo. Non il solito comizio elettorale o la solita passerella di questo o quel politico in tour elettorale. Sia chiaro non perché non sia interessante ascoltare programmi elettorali, idee e progetti futuri, ma quando intorno ad un tavolo si discute di temi molto più ampi del dettato locale, vuol dire che si sono fatti passi avanti.
E così, sabato prossimo, nella splendida cornice della galleria del Mare a Marina Grande, “Sempre Avanti”, con la collaborazione del locale circolo del PD, ha organizzato un convegno con al centro il “Riformismo”. E chi meglio di una delle artefice ( assieme a Matteo Renzi) della stagione delle riforme e che ha creduto a questo percorso di sinistra poteva illustrarlo se non la Vice Presidente del Partito On. Anna Ascani.
Relatori del convegno anche Umberto Minopoli e Luigi Covatta, nomi di spicco dell’intelligenza di sinistra.
Perché Procida e perché “Riformismo”. Procida per troppi anni ha vissuto la politica solo marginalmente. E sempre confinati nell’alveo delle campagne elettorali quando, come è giusto che sia sull’isola sbarcano tutti. Essere dunque anche se solo per un giorno, al centro del dibattito politico nazionale è motivo di soddisfazione ed orgoglio.
Perché parlare di riformismo: È con l’Ulivo che, per la prima volta in questo Paese, la bandiera del riformismo ha assunto il senso di una proposta politica globale: dall’aprile 1996 al maggio 2001, per un’intera legislatura, tre presidenti del Consiglio e quattro governi, hanno visto nel riformismo la propria più accettata caratterizzazione identitaria e, ancora oggi, è un fronte riformista che cerca di stare in campo contro l’identità concorrente, al momento in maggioranza con il nome di «Casa delle libertà»: nome abbastanza adeguato per una alleanza segnata da una direzione sostanzialmente neoliberista.
Vedere molti lettori storcere il naso di fronte ad un’impostazione che può apparire troppo immersa nelle cronache del nostro presente, per tanti aspetti ambiguo e ricco di mediocrità e di contraddizioni. Per discettare di riformismo, è proprio necessario partire di qui? Penso di sì: che, per lo meno, è utile prendere atto che, né come programma politico-elettorale, né come mito ideologico, il termine riformismo ha mai avuto, da noi, prima dei nostri pur modesti giorni, la forza di proporsi come tendenza globale, sintesi di tradizioni che, nella loro storica separatezza, si sono riconosciute progressivamente penalizzate dalle loro ideologie in frantumi, e hanno imboccato strade nuove. A un certo punto, forze politiche con storie diverse esaurite, hanno cercato, proprio in un riformismo rivisitato e riabilitato (non senza frettolosa semplificazione e comoda superficialità), una loro unità e vitalità di tipo coalizionale, ormai indispensabile, dopo la crisi del triennio ’92- 94, per competere sulla scena politica e nella vita della Repubblica.
Che l’unità dei riformisti italiani (postcomunisti, socialisti, repubblicani, cattolici democratici, ambientalisti), sia poi risultata inadeguata ad affermarsi con più durevole stabilità, sgominando la concorrenza per un ciclo di alcune legislature, ci obbliga a riconoscere che, o essa è stata pensata e rappresentata non troppo bene, o che la carta neoliberista è, in questo nostro Paese e tempo, così buona e ben giocata da riuscire a vincere: nella democrazia maggioritaria-bipolare, di fatto, due volte su tre.
Il riformismo è una reale «tendenza» politica solo quando può e sa confrontarsi positivamente con il problema politico centrale, che è quello di proporsi di governare, in competizione – dentro una società democratica e costituzionale – con tendenze politiche diverse. Che sono poi, fondamentalmente, due: quella di chi non cerca i cambiamenti ma si compiace dell’esistente e vuole conservarlo: o di chi si aspetta i cambiamenti migliorativi possibili dalla dinamica spontanea, e quasi senza regole, delle forze sociali in conflitto. Conservatori e liberisti sono, infatti, nell’orizzonte della democrazia politica moderna, gli avversari della progettualità riformatrice. Il triangolo instabile di queste tendenze ideali dà luogo ad una dialettica complessa, in ragione delle concrete situazioni storiche, sociali, economiche, giuridiche, e delle capacità di analisi e sintesi, di comunicazione e aggregazione, dei «partiti» in competizione davanti ai cittadini elettori, per legittimarsi a governare e legiferare, secondo le scadenze e per i tempi previsti dall’ordinamento costituzionale.
Riformismo, dunque, o è un obiettivo collettivo, e quindi anche un metodo partecipato e sostenuto da cittadini così numerosi da essere o maggioranza in atto, o possibile alternativa di governo: oppure, è solo un orientamento etico, una propensione culturale di gruppi ristretti, di pensatori e studiosi: importante, forse anche influente nei tempi lunghi, ma sotto la soglia della rilevanza e delle responsabilità politiche, che sono cose che si svolgono tutte in tempi brevi, con un consumo immediato di risorse sociali. Anzi, nel susseguirsi delle libere iniziative e nel variare frenetico di circostanze ed emergenze, la politica reale si svolge in tempi brevissimi. Solo per modalità organizzative molto ben pensate e fortemente difese, un lavoro politico può sostenere sforzi prolungati e quindi progetti di ampio respiro. Questo, in un certo senso, penalizza a priori i riformisti, e richiede siano eticamente e intellettualmente molto dotati per affermarsi come veri riformatori, riuscendo a vincere conservatori e liberisti, solitamente avvantaggiati dalle loro semplificazioni ideologiche di partenza, di più immediata credibilità, specie presso i gruppi sociali più attivi e meglio dotati di risorse culturali ed economiche.
Una tradizione politica riformista, storicamente necessaria per parlare di riformismo in senso forte e verificato, si ha in Inghilterra, come si è accennato; esiste da circa un secolo anche nei Paesi dell’Europa del Nord e baltica, che in Italia conosciamo pochissimo e peraltro vivono in condizioni di laboriosa e fortunata «marginalità» rispetto ai più noti travagli continentali. Riformismo è tendenza politica importante anche in Francia e in Germania, ma Napoleone III e Bismarck hanno assorbito e gestito in modo ben diverso dal riformismo le istanze di modernizzazione di queste grandi società in larga parte dell’Ottocento: per cui Francia, Germania, e anche i territori centro-europei e balcanici della vecchia Austria-Ungheria, conosceranno sì partiti socialisti importanti, ma non loro tradizioni di governo, durevoli e incisive.