Sebastiano Cultrera – Parlare della processione di Venerdì Santo d’estate è strano. Di solito è l’attività principale dei giovani (e dei meno giovani) nell’isola a partire dalla fine delle feste natalizie. Ma l’occasione per parlarne ce lo dà il grido d’allarme di un “gruppo di confratelli” capitanati dal dott. Giacomo Retaggio, che evidenzia una serie di criticità nella attuale organizzazione dell’evento più amato dai procidani.
Gli argomenti proposti sono degni di essere presi in considerazione ed è più che mai opportuna una presa di coscienza in tempi congrui per affrontare con calma una soluzione.
Credo, tuttavia, con tutta sincerità, che molti protagonisti della annuale processione facciano fatica a comprendere la portata della processione. Non pretendiamo di essere sempre e in toto letti da tutti, e nemmeno da tutti quelli interessati ad un aspetto che noi trattiamo. Ma questo giornale ha sempre ospitato tutte le voci di allarme e di dissenso anche rispetto ad alcune tendenze in corso che impoverirebbero la processione.
Certo alcune critiche possono essere state, in dati momenti, considerate eccessive ed è giusto aprire il dibattito. Non è granché intelligente stracciarsi le vesti e gridare all’oltraggio, però, se certi rilievi li fa un “forestiero” (o un cronista non addetto ai lavori di sacrestia); e poi ripetere, in soldoni, una parte delle critiche mosse già da questi nel passato, magari spendendo una maggiore credibilità solo perché si è “confratelli”.
La “Congregazione della Immacolata Concezione dei Turchini” è una istituzione antichissima e benemerita, ed è degna di ogni rispetto e di ogni buona considerazione. E della processione di Venerdì Santo custodisce storia e tradizione. Ma i suoi membri, i suoi confratelli non sono e non possono essere gli unici a parlare della processione.
Anche perché, oramai, la processione è un bene dell’umanità ed è nostro compito, di procidani e di credenti (per chi lo è) aiutare a diffonderne nel mondo il suo messaggio.
Una posizione che è stata tenuta negli anni passati (anche da alcuni che oggi sottoscrivono la lettera, in verità) era del tipo “LA PROCESSIONE NON SI TOCCA” in linea con lo spirito corrente di chiusura oggi imperante.
Non la abbiamo condivisa perché, invece, il vero tema è (come abbiamo più volte scritto) quello di RINNOVARSI NELLA TRADIZIONE, intraprendendo, in maniere critica (e, se possibile, anche AUTOCRITICA) il percorso che porta a salvaguardare le VERE TRADIZIONI e distinguerle dalle mere abitudini stratificate negli anni. La lettera di Retaggio e degli altri confratelli sembra ora andare in questo senso, e ne siamo lieti.
I Misteri Fissi rimasti fermi da tempo, il trasporto del Cristo, l’ordine durante la processione e altre carenze sono quelle evidenziate.
Proviamo allora, senza pregiudizi, a tentare una analisi sulla causa di alcune disaffezioni, relative soprattutto alla parte comune della processione, che è, invero, quella più arcaica. E, probabilmente, possiamo dire che ciò deriva dal sempre crescente peso dei singoli misteri rispetto alla parte comune. Anche dal punto di vista mediatico la processione è divenuta “Processione dei Misteri” e viene pubblicizzata come tale, esaltando (com’è giusto) il lavoro e la dedizione che i giovani procidani profondono ogni anno per realizzarli. E nessuno si è indignato, negli anni, per questa strisciante mutazione genetica. Perché ogni mistero racchiude una sua visione parziale dell’evento, ma la processione NON È L’INSIEME DEI MISTERI, che costituisce UNA PARTE della processione che ha altri momenti costitutivi.
La processione ha un’anima che non è costituita solo dalla parte che costruisce i misteri, ma da tutto il popolo procidano che partecipa, in un modo o nell’altro, nella processione. Ci sono ruoli scomodi e di poca visibilità che oggi nessuno vuole svolgere? Si obblighino i gruppi di ragazzi, e non, dei misteri a prestare (facendo i turni) un ragazzo per gruppo per svolgere quei compiti. E magari i misteri fissi si cerchino di “abbinarli” ai misteri dei ragazzi, precedendoli, recuperando un nesso ideale, simbolico o religioso. Per l’ordine, come già proposto, si recuperi la figura del mazziere con funzione di servizio d’ordine interno, cui i partecipanti sarebbero soggetti in virtù di un rivisitato regolamento.
Insomma, si possono “lavare i panni in Arno” e ripulire le imperfezioni e recuperare scorrevolezza e autenticità alla processione. A patto di essere autenticamente dedicati a ciò e approcciare al processo con spirito autenticamente costruttivo. Facendo le giuste autocritiche.
Non ho, purtroppo, sentito, infatti, ancora una parola di critica (e di AUTOCRITICA) rispetto alla ENORME vicenda accaduta due edizioni fa: quello del cartello che precedeva un “mistero” intitolato l’EQUARESTIA, si proprio così: NON È UN ERRORE DI STAMPA. Su questo nessuno ha protestato è nessuno protesta, non c’è stata nessuna indignazione né dei confratelli, né dei cultori della tradizione, né dei predicatori dello spirito autentico della processione. Si è tentato di derubricarlo ad errore di ortografia. Ed ancora oggi, temo, che si voglia parlare solo di altro. Si chiede di tornare alla tradizione ma… l’EQUARESTIA non si tocca! Con tutto ciò che quello episodio ha comportato in termini di lassismo; di incultura; di mancato controllo; di incapacità di vivere lo spirito giusto; di poca qualificazione a mandare un messaggio universale; di incapacità a rappresentare un elemento sacro.
Nessuno si è preoccupato di cogliere, da quell’episodio, il grande segnale di allarme che corre il rischio di minare tutto il valore della processione: l’ignoranza!
Ed è proprio vero: di tutte le bestie selvagge l’ignoranza è la più difficile da trattare.