Procida – Se dieci persone si coprono gli occhi, toccano un elefante per dieci secondi e poi raccontano la loro esperienza, probabilmente ognuna di esse descriverá una diversa parte del corpo. Anche l’autismo può essere conosciuto in modi diversi, diceva, Theo Peeters.
Conoscere dunque l’autismo e il mondo che gira attorno, anche su una piccola isola come Procida, diventa strumento indispensabile per decifrarne la complessità che non può che essere affrontata solo con una strategia integrata che veda attivamente partecipi tutti: genitori, insegnanti, operatori.
In tal senso va inquadrato l’incontro che si terrà domani dalle 16.00 alle 19.00 presso la Sala consiliare. La giornata è organizzata da “C’entro”, ” in collaborazione con il comune dell’isola di Arturo. Per l’occasione, esperti in materia di Psicologia, neurologia e autismo, si alterneranno ai microfoni, tra essi : Antonia Ayala, Maria Grazia Chilò,Valentina Pasin, e Lisa Costagliola.
Un pomeriggio di sensibilizzazione aperta a genitori ed insegnanti perchè la conoscenza del problema è fondamentale per diminuire le distanze e creare una comunità accogliente ed educante.
Gli attuali dati nazionali, in continua crescita, dicono che 1 ogni 75 bambini nati vivi svilupperà il Disturbo dello Spettro Autistico, compresa la variante che si definisce come Sindrome di Asperger, più difficile da diagnosticare. Questi sono i cosiddetti “ragazzi invisibili” che per troppo tempo non sono stati presi in considerazione e nei cui confronti non esistono serie iniziative, sia dal punto di vista riabilitativo che di inserimento lavorativo.
Roberto Speziale, presidente
dell’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità
Intellettiva:
“In Italia sono circa 600mila. Solo una parte
dei casi è diagnosticato, il resto rimane sommerso. L’autismo è una
“disabilità invisibile”, ignoriamo quali e quante barriere
affrontano tali persone per comunicare e vivere ogni giorno e non
riusciamo a immaginare come rompere queste barriere e rendere la
società italiana più accessibile”
Una lettera trovata in rete, di una mamma, ci introduce nel mondo autistico, la rimettiamo nei suoi punti salienti perché vale la pena leggerla:
“In un pomeriggio d’inverno di molti anni fa, mio papà ci trascinò al cinema a vedere il film Rain Man, la storia di un personaggio a tratti persino buffo ma che per me era assolutamente insopportabile. “Cosa faresti se incontrassi un tipo simile?” mi chiese a bruciapelo la mia arnica nell’intervallo, “sicuramente lo strozzerei”. Dicevo sul serio, quel tipo impostato, ossessivo, nevrotico era quanto di pia lontano ci fosse dal mio modo di concepire la vita. Vent’anni dopo, pia o meno nello stesso periodo, a mio figlio venne diagnosticato l’autismo, si proprio quella patologia che mi aveva fatto tanto inorridire da ragazza. quel che non avrei mai immaginato però è il dopo, quel che succede quando si esce dall’ospedale con la cartella medica sottobraccio. A ben pensarci stato proprio quello il tratto più orribile di tutta la vicenda. Davanti a noi si è aperto il mondo dell’indeterminazione, perché nonostante se ne parli da anni, si tratta di una patologia di cui non sono ancora note le cause e quindi non si conosce la cura.
Questa patologia che in certi casi non è ritenuta invalidante e quindi anche i sussidi, economici e pratici tardano ad arrivare. Le risorse messe a disposizione dal territorio sono disomogenee per regione, talvolta addirittura per comune e allo stato attuale non esiste alcun progetto per il trattamento dei sintomi, che viene demandato all’iniziativa dei singoli terapisti.
Quello che non viene contemplato ne sul territorio, quindi in forma gratuita, ne a pagamento a il supporto psicologico alle famiglie che vengono letteralmente abbandonate a se stesse e spesso finiscono per sfasciarsi tra dubbi, accuse e recriminazioni. Dove però si rasenta il parossismo è a scuola. Per poter frequentare un istituto pubblico e necessario effettuare la richiesta dell’insegnante di sostegno, mediante domanda all’Asl del proprio comune. Nemmeno quando mi sono laureata ho compilato cosi tanti moduli e tutto questo per aver diritto a 10 ore (su 40 di frequenza settimanale) di ausilio, perché si sa, ormai sono finiti i soldi. Quest’anno siamo stati fortunati, e arrivata un’insegnante disponibile, paziente e davvero preparata ma non è sempre stato cosi, spesso capitava che l’incarico venisse affidato al primo professore libero in graduatoria che magari non aveva alcuna competenza e mollava dopo una settimana.
Quando Lorenzo entrò alla scuola dell’infanzia, la prima insegnante titolare venne nominata a novembre, dopo due mesi di frequenza. Si trattava di una figura a tempo pieno, le cui ore venivano ripartite anche su altri bambini o per coprire le malattie di eventuali colleghe, che aveva accettato per rimanere in graduatorie ma che non sapeva neanche cosa significasse relazionarsi con un bambino autistico. Per Lorenzo fu un trauma, non sopportava quella donna che cercava di parlargli in modo assolutamente improponibile per lui, per fortuna si aggiunsero altri due o tre casi da seguire e la loro convivenza si ridusse a 8 ore settimanali.
Per favorire l’integrazione di Lorenzo nella nuova classe, l’istituto nella persona del preside ha organizzato in collaborazione con l’associazione che segue il nostro bambino, degli incontri formativi per le insegnanti di sostegno e per i compagni accollandosi l’intero costo del progetto. Attraverso giochi e disegni le terapiste hanno spiegato ai bambini quale sia la “malattia” di Lorenzo che oggi è diventato la mascotte della classe. Scopo principale di questo progetto, nominato “l’amico speciale” era di abbattere i pregiudizi ma anche di far conoscere una patologia sempre pia diffusa e sono stati proprio I suoi compagni di classe a spiegare ai loro genitori che Lorenzo non è un bambino cattivo ma solo un bambino autistico.
Eppure tanti adulti ancora adesso lo guardano con sospetto basta pensare che quando sono state composte le classi c’è stato chi ha espressamente chiesto di non mettere suo figlio insieme al mio.
Ai genitori che come me vivono questa condizione posso solo consigliare di non perdere la speranza e di non abbandonare i figli, i miglioramenti spesso impercettibili si realizzano con un lavoro costante. Di autismo non si guarisce, quindi diffidate di chi promette attraverso pratiche pericolose risultati strabilianti. Non vergognatevi se vostro figlio grida in pubblico, lo fanno anche i bambini sani e non viziatelo troppo, prima di essere autistico resta un bambino. Ma soprattutto imparate a sopravvivere voi per primi, a guardare oltre il vostro problema, a non prendervela con il mondo intero e a considerare questo “guaio” un’ opportunità. Prima di Lorenzo avevo un attitudine alla resa, non appena qualcosa girava storto, tendevo a mollare il colpo, questa storia mi ha insegnato invece a lottare e a non abbassare mai la guardia e oggi non ho più paura”.