Gino Finelli – Ogni giorno sui numerosi social e sui blog si legge di tutto. A volte mi meraviglio della costanza con cui si è presenti e della continua capacità di avere sempre una risposta immediata e pronta per qualsiasi
considerazione. I social divengono così il luogo, la piazza della discussione, purtroppo però spesso con le stesse stupidaggini che si ascoltano in piazza, nei circoli, nelle riunioni politiche e non, nei discorsi tra persone e anche amici.
Quello che accade nella consuetudine di quella vita a cui siamo abituati, si ripete puntualmente sulla piattaforma virtuale che, peraltro mancando del rapporto interpersonale, dello sguardo, della vicinanza fisica, diviene un linguaggio frequentemente più aggressivo e scorretto. In questa piazza, dove tutto è possibile, si dà libero sfogo alle opinioni, alle considerazioni, alle osservazioni senza approfondire gli argomenti trattati e spesso, ma direi quasi sempre, senza esserne a conoscenza. E’ proprio qui, in questo mondo dell’invisibile, che si manifesta il proprio ego spesso mascherato da
quello sguardo indagatore e dalla presenza delle persone. Così chi ha paura di esporsi in un pubblico consesso, si sente libero e diviene improvvisamente conferenziere, scrittore e finanche giudice di quegli
argomenti che la maggior parte delle volte si conoscono solo per sentito dire, una conoscenza cioè superficiale e anch’essa virtuale.
In questo periodo, dove il “bar Casablanca” metafora di Giorgio Gaber, è chiuso si apre lo stesso bar sul web, sui social, seduti davanti ad uno schermo a chattare con i gruppi appositamente costituiti, appunto
come i tavolini di un bar, e le parole usate e le frasi scritte, spesso sgrammaticate e incomplete, rappresentano quell’esternazione di conoscenze ed opinioni che raggiungono vette di inimmaginabile
idiozia.
A volte, animato dal buon senso, qualcuno interviene a moderare o mettere una parola di saggezza che riporta il dialogo su binari di una conversazione accettabile.
Ma la vera rovina è decisamente FB, una piattaforma che consente di tutto compreso l’uso assolutamente improprio della parola pubblicazione. Si dice: ho pubblicato su FB un mio scritto, una lettera, un pensiero
e così via. Un termine che noi usiamo, nella accezione comune, per indicare un libro, un articolo, un testo e così via, cioè un qualche scritto che ha origini da una penna di qualcuno che ha pensato, ha ideato e poi
tradotto in lettere, con un italiano corretto e spesso anche complesso. Abbiamo sempre creduto e giustamente, che chi pubblicasse avesse, oltre che le doti e la competenza, anche la dovuta cultura per farlo. Ebbene oggi si pubblica su FB, cioè chiunque si sente autore, scrittore, opinionista, poeta e così via perché pubblica, quando in realtà rende solo noto, a chi vuole e per le poche o molte persone che aprono la sua pagina virtuale, quello che pensa e che ritiene di dover divulgare.
Un mondo costruito da noi che tende sempre di più ad una comunicazione ingannevole e ad una gratificazione immeritata. Anche la politica ha oramai imparato e si comporta nello stesso modo utilizzando linguaggio e espressioni virtuali e, gli stessi politici piccoli o grandi che siano, si sentono capaci attraverso questi mezzi comunicativi di essere portatori di verità facilmente comprensibili e soprattutto di consenso e di
popolarità. La condizione in cui viviamo oggi, che avrebbe potuto farci riflettere e, nel silenzio capire che ci sono
cose che non ci aspettavamo ,che il silenzio ha il volto delle cose che hai dimenticato, tralasciate, perdute, ha invece amplificata la nostra voglia di esprimerci utilizzando quel linguaggio virtuale e lasciandoci prendere da un ego sfrenato che ci consente di dire di tutto e di più, nella consapevolezza di non avere lo sguardo indagatore e di poterci, comunque, difendere aprendo prima wikipedia e poi rispondere. Il trionfo dell’ignoranza, arricchito da una conoscenza anche essa virtuale e superficiale e da quella incredibile sensazione di sentirsi finalmente parte di un dibattito, certi di esserne protagonisti.
E tutto questo sta accadendo oggi tra le mura domestiche nelle lunghe ore di ozio, tra la noia e la necessità di superarla, tra la paura e la consapevolezza di doversi difendere, tra l’abbandono delle cose che hai
lasciato per strada e quelle che non riesci più a trovare.
E allora davanti allo schermo, seduti ai tavoli del bar Casablanca, magari con un caffè o altro, ci si affaccia alla comunicazione libera che diviene anche conoscenza di argomenti mai trattati e soprattutto amplifica le capacità di esporre considerazioni, giudizi e, cosa ancora più devastante, di proporre soluzioni, forti di ciò che si appena letto e la cui conoscenza è assolutamente falsa e ingannevole. Anni e anni di studio, di duro lavoro, di sacrificio per apprendere e finalmente capire e poi anche operare,
divengono così equivalenti o sovrapponibili a chi forte della capacità di comunicare attraverso social e web improvvisa di tutto per un protagonismo oramai divenuto endemico. E’ questa la vera pandemia, quella dalle quale non potremo più liberarci, quella che costantemente ci accompagna ogni giorno e che lascia alle nostre spalle qualsiasi possibilità di ritornare, di nuovo, a quella penna e a quel foglio dove per scrivere bisognava conoscere e pensare. Dal virus prima o poi ci libereremo, ma dalla stupidità che questo mondo ha sviluppato attraverso la sua
grande evoluzione tecnologica forse mai.