Procida – «Non vi è salute se non c’è salute mentale», afferma l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La sfera mentale è a pieno titolo parte integrante del benessere della persona, intesa sia nella sua individualità, sia nella sua sfera sociale.
E in questo periodo di emergenza Coronavirus – in cui le persone sono state chiamate alla responsabilità di non uscire (se non per mera necessità) – di quarantena, di isolamento, è più che mai importante togliere il velo del pregiudizio e dello stigma verso la sfera della salute mentale. Non tutti sono in grado di gestire lo stress psicologico e la paura creatasi, e la situazione attuale potrebbe portare a far peggiorare le condizioni patologiche pre-esistenti in pazienti già affetti da ansia, stress, depressione e altro.
Di ciò e di tanto altro ne abbiamo discusso con il dott. Maurizio Capezzuto, psicologo e psicoterapeuta procidano.
“Avevo 15 anni quando esaltavano i progressi socioeconomici che avrebbe portato la globalizzazione e ricordo quando 10 anni più tardi si etichettavano come violenti e facinorosi quelli che appartenevano al movimento no global.
Ricordo quando esaltavano le nuove forme di contratto del lavoro, che avrebbero permesso di avere più opportunità occupazionali, così che i lavoratori avrebbero avuto la possibilità di poter scegliere il loro lavoro, di poterlo organizzare e di renderlo così più gratificante. Ricordo quando si esaltava la sanità privata e si denigrava la sanità pubblica, ricordo che fazioni politiche appoggiarono proposte fatte dal governatore Formigoni (poi condannato) per finanziare la sanità privata a discapito di quella pubblica, ricordo che due anni fa l’OMS avvertì che ci sarebbe stata una pandemia, ricordo un leader politico che fino a qualche mese fà proponeva la flax tax, che si sarebbe dovuta realizzare attraverso l’ulteriore riduzione del finanziamento alla sanità pubblica e che ora ipocritamente chiede più soldi a favore della stessa.
E mi chiedo: come mai nessuno ricorda queste notizie? Sono uno psicoterapeuta e so quanto è importante per noi ricordare la nostra storia per comprendere il motivo dei nostri errori e per tutelarci in futuro dal non commettere gli stessi, ma non posso che constatare come tutti noi abbiamo perso la nostra memoria, altrimenti non si spiegherebbe come può il mondo intero trovarsi impreparato dinanzi ad una pandemia. Le pandemie ci sono da millenni ed in un mondo sempre più globalizzato ci illudevamo che fossimo immuni, che la peste o l’ebola fossero ricordi di un lontano passato e che a noi non sarebbe toccata questa sorte.
Ci preoccupiamo del Coronavirus e non di come stiamo distruggendo il mondo, non ci preoccupiamo del fatto che da almeno dagli anni 70 ad oggi le ricerche ci dicono che il quoziente d’intelligenza delle nuove generazioni è sempre più inferiore a quello delle generazioni precedenti e che i dati ci dicono che le persone fanno sempre meno l’amore con tutto ciò che ne consegue sia sul piano demografico sia sul piano sociale. Cosa succede quindi? Oggi giorno notiamo il manifestarsi di due processi che chi fa questo mestiere conosce bene, sono due meccanismi di difesa , la proiezione e lo spostamento: il male è fuori di noi, prima era la Russia, poi l’immigrato, ora il Coronavirus.
Il Coronavirus è solo la conseguenza di ciò che abbiamo fatto finora. Certo è giusto prendere tutte le precauzioni, ma stiamo contemporaneamente mettendo in discussione una delle cause che ci ha portato a essere impreparati dinanzi alla pandemia, ossìa il nostro senso di onnipotenza? Inoltre ritengo che non stiamo riflettendo a sufficienza né sulle conseguenze economiche né tantomeno sulle conseguenze sociali che questa pandemia avrà.
A metà degli anni ’90 ci fu una conferenza in cui si affrontava il tema dello smart working e dei suoi benefici sia a livello ambientale sia sulla qualità di vita del lavoratore, ma ce ne siamo fregati, ora che il tessuto sociale è più fragile di quello degli anni ’90, si parla di questa nuova modalità di lavoro senza comprendere che in un mondo sempre più virtuale, lo smart working rischia di essere lo strumento che ci alienerà sempre più. Non sto dicendo che non è utile e doveroso cambiare rotta, ma che se contemporaneamente non si lavora per ricostruire un tessuto sociale in cui le persone si riappropriano della loro capacità relazionale, potremmo vivere un periodo impregnato di reciproca sospettosità e diffidenza gli uni verso gli altri.
Queste misure che stiamo mettendo in atto per difenderci dal virus sono doverose, ma si innestano su una struttura sociale molto mal ridotta. Il nostro presente è carico di sospettosità. Il virus si nasconde ovunque, sembra che le misure prese per tutelarci non siano mai abbastanza, abbiamo le mascherine anche quando camminiamo da soli su un marciapiede o siamo in macchina. Se incontriamo qualcuno che dista da noi , anche di un paio di metri, ci allontaniamo ancor di più. Stiamo diventando ossessivi, rischiamo in futuro di non fidarci neppure di coloro che realmente ci potranno aiutare.
In tutta questa disfatta però si intravede un barlume di speranza proveniente da quelle persone che, nonostante tutto, non si arrendono all’idea di chiudersi e di non socializzare, ed ecco che nelle ultime settimane si è registrato un aumento del 1000% di videochiamate e di flash mob. La speranza è che i prossimi esponenti di Governo sappiano cogliere questi aspetti, piuttosto che cavalcare ed aizzare il sentimento della paura come è stato fatto da decenni solo per avere consenso elettorale. Colui che ci governa deve impersonare la figura del padre, dovrebbe cioè avere quella capacità di vedere oltre, anche sfidando l’impopolarità”.