Procida – La difficile conciliazione tra gli interessi del commercio marittimo e la tutela della salute pubblica è argomento di grande attualità e interesse così come lo è stato nei secoli passati. Delle analogie tra passato e presente ne ha parlato giorni fa su portieinterporto.it, la procidana Raffaella Salvemini, Ricercatore dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo, presso il Cnr di Napoli.
“L’epidemia di Covid19 ha imposto restrizioni alla libertà in ogni nazione. Secondo la tua esperienza di studiosa sulla sanità quali sono le analogie tra quanto accade oggi e la risposta alle emergenze epidemiche del passato?
“La storia insegna molto. Eravamo tutti preoccupati in gennaio dinanzi alle notizie sulla diffusione del Covid19 in Cina e non avremo mai pensato di vivere e subire in modo così drammatico quella contaminazione in Italia. Eppure è successo, anzi è scoppiata una vera pandemia! E così assolutamente impreparati sul piano della cura abbiamo fatto appello a misure ben note nella storia delle epidemie a cominciare dalla prevenzione e dall’isolamento con il ricorso alla quarantena. La creazione di zone rosse, di cordoni sanitari, di limiti alla circolazione per via di terra e di mare hanno messo in evidenza quanto la salute della popolazione sia in stretto rapporto con il controllo delle frontiere. Per arginare l’epidemia sono stati introdotti divieti ad assembramenti vari come nei mercati o negli stadi; sono state chiuse le scuole, ma anche le fabbriche e limitata la circolazione della popolazione nei porti. Naturalmente ogni forma di restrizione allo scambio, sebbene introdotta a tutela della salute, ha creato non solo proteste ma pericolose infrazioni sanitarie, oggi punite con sanzioni amministrative e penali, un tempo con la morte. Così come nei secoli passati è sempre difficile la conciliazione tra gli interessi del commercio e la tutela della salute. E proprio su quanto accadeva nel passato intendo richiamare l’attenzione e precisamente alle prescrizioni che suggeriva alla gente di mare nel 1788 Marcello Eusebio Scotti, un colto sacerdote procidano, martire della Repubblica Partenopea del 1799 nel suo Catechismo nautico. Lo Scotti parlando di sviluppo dei traffici legati alla navigazione dava una serie di suggerimenti sui diritti e doveri della gente di mare, senza trascurare quelli di ordine etico-morale. A due secoli di distanza molti aspetti del suo Catechismo appaiono di grande attualità a cominciare dalle misure di prevenzione per combattere il diffondersi delle epidemie che a qual tempo riguardavano soprattutto la peste”.
Nel suo lungo trattato lo Scotti si soffermava sulle misure a difesa dei contagi?
“Si certo. Lo Scotti indaga sul rapporto che le città di mare avevano con il terribile morbo della peste. Era convinto che fosse la navigazione ad unire i popoli, unitamente alla responsabilità di contribuire al progresso e alla ricchezza con il commercio. Ma bisognava fare attenzione che, come si era già verificato nel 1656 con la grave peste di Napoli, a mezzo delle navi non arrivassero anche i contagi. Rileggendo le sue pagine troviamo molte analogie con quanto accade oggi. In primo luogo la prevenzione e il controllo delle frontiere. Al tempo di Scotti nel Regno di Napoli c’erano i Borbone e la marineria era affidata all’Ammiraglio Acton. Per la quarantena marittima le navi in “sospetto di peste” venivano inviate presso il lazzaretto di Chiuppino nei pressi dell’isola di Nisida”.
Nell’eterna lotta tra il bene e il male pensava dunque che gli Stati dovessero interrompere i traffici?
“Non fu così drastico. In perfetta analogia con quanto accade in questi giorni era difficile la conciliazione tra interessi del commercio e tutela della salute. Di certo le città marittime erano un veicolo pericoloso. Ma da un’analisi costi/benefici la navigazione portava più vantaggi che svantaggi e quindi lo Scotti consigliava di non chiudere i porti ma di osservare rigidamente i controlli e ottemperare ai doveri”.
La navigazione era dunque un bene irrinunciabile?
“In effetti si, sembra proprio questa la sua opinione. Naturalmente non nascondeva i rischi legati alla navigazione e consigliava di attenersi agli stretti obblighi cui erano tenute le Città marittime che l’esercitavano. Solo in questo modo si sarebbe tenuto lontano ogni male e per intenderci meglio le epidemie. Il sacerdote diceva che il Governo in verità aveva dedicato al tema una particolare attenzione “che ha del divino”. Il governo borbonico aveva predisposto misure di prevenzione senza tralasciare alcun provvedimento. Le Città marittime avevano il compito di garantire a tutti quel diffuso benessere che la navigazione prometteva”.
Cosa diceva sul comportamento da tenere nelle Città di mare per evitare i contagi?
“Nel suo Catechismo ricordava alcune prescrizioni. In primo luogo non era lecito comunicare con i bastimenti sui quali c’erano persone “sospette” e per saggia precauzione la nave non era ammessa a “pratica”, cioè non poteva far sbarcare uomini e merci. Non bisognava permettere, ritenendolo un atto pietoso o di aiuto, di scendere dalle navi ad alcun infermo anche segretamente, sebbene non colpito dalla peste. Poteva rappresentare un precedente e altri avrebbero potuto comportarsi in maniera analoga. Era necessaria la fiducia reciproca e non solo i marinari ma tutti dovevano riferire ai “Deputati della salute”, che interrogavano sotto la nave il comandante, fatti e circostanze sulle condizioni di vita a bordo compreso i casi sospetti di epidemia o malattia. Bisognava non alimentare il contrabbando e impedire che per pochi soldi (carlini) s’infrangessero le norme doganali sbarcando di nascosto dalla nave ogni sorta di merce. Era colpevole chi studiava il modo di sfuggire con malizia alla disinfezione in contumacia, oppure decideva di non osservarla. E naturalmente stessa responsabilità avevano i suoi complici. Secondo le leggi del tempo tutti dovevano vigilare su quanto accadeva compreso il comportamento degli addetti al controllo della salute, i “Deputati della salute”, affinchè fossero attenti e fedeli senza alcun abuso di potere. Infine era un vero dovere di coscienza prima imparare e poi insegnare quelle istruzioni di salute che aveva provveduto a compilare il governo”.
Cosa suggeriva sulla difficile conciliazione tra gli interessi del commercio e la tutela della salute?
“Lo Scotti era convinto che nessuno dovesse sottrarsi all’osservanza dei doveri in quanto la pubblica salute era di continuo in pericolo e ogni tracotanza in questo ambito poteva essere motivo di terribili conseguenze arrecando “un diluvio di mali”. Il rischio era che mentre si cercava di promuovere ed allargare il commercio marittimo, per goderne dei vantaggi, si potessero allentare i controlli sullo stato di salute degli uomini che arrivavano con le navi. Ogni abitante dei luoghi marittimi doveva a quel punto vigilare sull’osservanza dei doveri, obbligo che nasceva dalla natura della stessa società dove ciascuno era tenuto a garantire il bene degli altri. Delicato era poi il tema della denuncia. La legislazione e quindi anche il sacerdote esortava a non essere omertosi in caso di sanità pubblica, non denunciare chi non rispettava le rigide prescrizioni poteva infatti produrre un male diffuso. Colui che s’accorgeva di qualche difformità nei comportamenti rispetto alle norme era dunque tenuto denunciare il colpevole”.
In conclusione sono ancora attuali i suggerimenti dello Scotti?
“A distanza di due secoli quel tema dei controlli e del rispetto delle regole è quanto mai attuale. Oggi sia il governo centrale sia le amministrazioni locali sono impegnati a far rispettare il distanziamento sociale. Sono misure di prevenzione a cui si fa riferimento nella speranza che si possa ancora contenere il contagio di questo terrificante nemico invisibile. Non abbiamo più i lazzaretti ma sono nati i reparti dedicati all’interno degli ospedali; di grande efficacia permangono la quarantena e l’isolamento. E per l’accesso ai porti c’è il controllo per la sanità marittima, molto più rigorosa al tempo del Coronavirus, che solo dopo un attento verifica della salute degli equipaggi concede il diritto di approdo e rilascia la libera pratica sanitaria.