Procida – La telemedicina non può più essere considerata come un’opzione o un componente aggiuntivo per reagire a un’emergenza. Come già succede alcune Regioni, il paese deve entrare nell’ottica che le misure implementate nel contesto dell’emergenza di questi mesi devono divenire la normalità. La pandemia ci ha insegnato come comunità che non possiamo più rimandare
Mai come in questo periodo caratterizzato dal “distanziamento sociale” si sta riscoprendo il valore della tecnologia per la cura a distanza dei pazienti, nonostante quella che viene definita comunemente “telemedicina”, sia una tecnologia di origine piuttosto datata e mai sfruttata su larga scala per mancanza di “visione” e per un’atavica resistenza al cambiamento dei processi consolidati.
Ma come tutte le fasi difficili e drammatiche della storia anche questa sta portando delle grandi opportunità e dei cambiamenti che saranno irreversibili. Vediamo allora come il Covid-19 ha “costretto” il mondo sanitario a fare un salto in avanti sulla telemedicina, facendola diventare un concetto più ampio e definibile come Smart Health nel suo insieme.
La telemedicina ha avuto una storia abbastanza travagliata e di certo, negli ultimi dieci anni, non ha ottenuto il successo che era auspicabile e forse anche prevedibile. Nei primi anni duemila, la possibilità di avere servizi remoti relativi al controllo e al monitoraggio della salute, la possibilità di fare consulenza e formazione tra medici e pazienti online, tramite una connessione sicura, di rendere le cure sanitarie all’avanguardia e più accessibili senza la necessità di attendere mesi per una visita, aveva illuso tutti, sembrava veramente essere il futuro, o quanto meno l’evoluzione della medicina, ma così non è stato.
Inizialmente ha pesato certamente anche il limite delle velocità di connessione, soprattutto quella del 3G nelle periferie e nelle campagne, ma da qualche anno a questa parte, con il 4G che ha raggiunto un’altissima percentuale di copertura del territorio italiano e così le linee ADSL fisse, si è capito che il problema con tutta probabilità era da ricercare altrove. Un problema evidentemente culturale, sia dello Stato che non è stato capace di investire e finanziare adeguatamente questo settore, ma anche degli stessi cittadini poco inclini a sfruttare questi enormi vantaggi.
Ma evidentemente non è solo un problema italiano; uno studio statunitense ha dimostrato infatti che negli Stati Uniti solo il 18% dei cittadini utilizza, almeno saltuariamente, servizi di telemedicina.
La ragione dunque va anche ricercata nella qualità dei servizi offerti che, evidentemente, non ha raggiunto fin oggi, il livello e la qualità attesi.
Ma poi è arrivato il 2020 e la pandemia di Covid-19. Questa crisi globale in corso ha costretto le istituzioni sanitarie e gli organismi di regolamentazione a ricorrere a modi alternativi di fornire assistenza sanitaria soprattutto con un obiettivo ben preciso: limitare l’esposizione al virus. E la telemedicina si sta rivelando come la soluzione ideale a questi problemi limitando lo spostamento dei pazienti negli ospedali, allocando la capacità ospedaliera per i casi più importanti e avendo, in sostanza come risultato, il contenimento della diffusione della malattia.
Solo un paio di mesi fa nessuno avrebbe potuto prevedere l’estensione e la portata dell’effetto del Covid-19 sulla società. Interi paesi sono stati bloccati con un lock down totale nel tentativo di limitare la diffusione del virus, come unico metodo ritenuto realmente efficace. Le tecnologie sanitarie digitali rappresentano una soluzione, forse l’unica affiancabile nell’immediato, in questa circostanza. L’ausilio di robot, di oggetti connessi (IoT) al letto del paziente o a casa, aiutano i medici a monitorare i pazienti infetti per limitare il contatto con il personale medico, fornire forniture mediche e disinfettare i reparti.
In tale ottica si inquadra quanto sta avvenendo già tra le isole. Grazie alla Associazione Nazionale Sanitaria Piccole Isole (Anspi), è stato introdotto all’Elba un programma di visite da remoto con l’utilizzo di TelbiosConnect, una piattaforma che prevede l’utilizzo e la distribuzione di 30 kit comprensivi di saturimetro, misuratore di pressione con la misurazione dei parametri inviabile via app e televisite a distanza. L’operazione, che comprende la formazione di circa una trentina di medici, avrà una durata di sei mesi e getta un ponte anche verso il futuro della sanità a distanza in isole come Procida, Pantelleria o La Maddalena. Luoghi meravigliosi, ma dove curarsi, anche a prescindere dall’emergenza Covid19, può diventare complicato se i collegamenti sono interrotti, dove prendere un traghetto talvolta è impossibile a causa delle condizioni meteo.
«Il grave e complesso momento che coinvolge inevitabilmente anche la nostra Isola impone la messa in campo di tutte le forze, le conoscenze e le tecnologie disponibili per l’individuazione e lo sviluppo di modelli assistenziali, anche innovativi, improntati all’efficacia clinica unitamente alla tutela degli Operatori, tutti fortemente esposti al contagio Covid-19 nello svolgimento della loro professione nei rispettivi ruoli e competenze – spiega il dottor Gianni Donigaglia, presidente Anspi – e per questo abbiamo sviluppato un progetto specifico che, anche attraverso l’impiego di tecnologie di tele-assistenza già ben conosciute e sperimentate, consente il perseguimento dell’efficacia clinica con la minore esposizione al contagio, nello specifico, dei Medici di Medicina Generale e della Continuità assistenziale sul territorio. Il progetto è stato contestualizzato – nello specifico del momento – sulla risposta alla emergenza Covid-19, ma si può facilmente estendere ed implementare su tutto il ventaglio dei servizi territoriali, domiciliari, semiresidenziali e residenziali, in risposta ai bisogni complessi della cronicità/complessità».