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QUANTO SONO COSTATI E QUANTO CI COSTANO I DANNI DA COVID-19. 120-125 MILIARI I DANNI ALLA BLUE ECONOMY

DiRedazione Procida

Giu 9, 2020

Procida – Dai 120 ai 125 miliardi. Questa la proiezione sul valore dei danni Covid-19 che subirà in Italia la Blue Economy, ovvero tutto ciò che nell’industria, nei servizi, nella logistica, nell’artigianato, nel turismo è riconducibile al fattore mare. In attesa di poterli quantificare anche in realtà piccole come quella Procidana ad esempio, attraverso lo studio di medithelegrah proviamo a tracciare dei dayi.

Del conto preso in oggetto dalla ricerca, non fanno parte – ad esempio – gli interrogativi che riguardano il portafoglio ordini di Fincantieri, 46 navi da crociera i cui contratti sono – come confermato dall’industria cantieristica italiana – oggetto di discussione, nonché l’economia delle isole maggiori e minori che rischiano di pagare il prezzo più salato in termini di mancati introiti turistici. Sono queste le indicazioni che scaturiscono dalla prima elaborazione effettuata sui dati diffusi da 25 differenti associazioni imprenditoriali e da istituzioni relative alle conseguenze dell’emergenza virus sul fatturato 2020 dell’intera economia marittima.

Il primo preventivo danni sull’economia del mare è – come detto – frutto di un’aggregazione di dati che stanno scaturendo dai differenti comparti operativi. Nel tradizionale cluster marittimo la classifica dei danni a causa di un vero e proprio azzeramento del fatturato è capeggiata dalle crociere che a fronte di una previsione di 13 milioni e mezzo di passeggeri, hanno già confermato nel primo semestre la perdita di 6 milioni 886 passeggeri, e la cancellazione di 2709 scali nei porti italiani, ma difficilmente secondo gli esperti del settore il comparto potrà fornire segni di ripresa nella seconda parte dell’anno. Solo a titolo di esempio, è sufficiente sottolineare che la spesa media di ogni passeggero nei porti in cui la nave si ferma è quantificata in 90/100 euro pro capite. L’impatto negativo sulle crociere dovrebbe risultare a fine anno pari a oltre 3 miliardi di euro.

Nel settore turistico (che per circa il 70% è in Italia turismo di mare), l’ipotesi a fine anno sarà di una perdita netta di fatturato fra i 55 e i 60 miliardi, con impatto sull’industria alberghiera, sulla ristorazione ma anche sugli stabilimenti balneari che “occupano” il 36% del litorale italiano pari a 8670 chilometri. Il turismo blu rappresenta, secondo le ultime proiezioni, il 9% del Pil nazionale.

Azzerata sino a oggi anche la nautica da diporto, con porti deserti e con zero prenotazioni per il charter di grandi imbarcazioni da diporto e yacht, e con la speranza che luglio e parte di agosto possano consentire di salvare parte della stagione. Pesanti le conseguenze sui porti commerciali, che stanno perdendo (con le sole eccezioni di Gioia Tauro e Trieste) dal 20 al 30% del traffico anche nel settore dei container.

Al crack fino a 120-125 miliardi contribuiscono le conseguenze sulla pesca, che nel primo semestre ha segnato un crollo dell’80%, quantificabile in 1,5 miliardi di euro, ma anche l’abbattimento di tutte le attività di intrattenimento, l’artigianato e la moda legati al mare (che per ora registrano lo spostamento in avanti di almeno tre mesi nella stagione dello shopping), la gestione dei parchi marini e degli acquari. Sull’industria cantieristica incombe il rischio crociere e quindi le capacità delle grandi compagnie del settore di riprendere l’attività almeno nella primavera 2021 con incidenza tutta da valutare sui contratti e le opzioni in essere per la costruzione delle 46 nuove navi da crociera che sono nell’ order book di Fincantieri. Impossibile a oggi formulare una previsione sui danni e sull’effetto recessivo che si abbatterà sull’economia delle isole maggiori (Sicilia e Sardegna) e minori, nonché di riflesso sull’attività dei traghetti che sino a oggi hanno registrato un abbattimento dell’attività di trasporto, e che anche nella seconda parte della stagione si troveranno ad affrontare costi di gestione invariati con una contrazione inevitabile e già certa del fatturato determinata dalle norme sulla prevenzione del contagio che costringeranno le navi a viaggiare a circa il 60% della loro capacità di trasporto. Quando in Italia si parla di Blue Economy si pensa sostanzialmente ai porti e alle navi che trasportano merci e passeggeri. In altre parole si focalizza l’attenzione sul cosiddetto cluster marittimo che rappresenta dal 3 al 4% del Pil nazionale.

Ma la Blue Economy, nella dizione prevalente di altri paesi che in teoria dovrebbero essere meno sensibili dell’Italia a queste tematiche, è ben altro: è un settore esteso che comprende tutto il turismo “marino” che in Italia rappresenta circa il 70% del totale flusso turistico del Paese con ricadute dirette sull’industria dell’ospitalità, sulla ristorazione e sulla gestione delle spiagge, assorbe tematiche relative alla difesa del patrimonio ambientale ed economico dei litorali marini, le biotecnologie marine, l’energia prodotta con high tech blue; riguarda tutte le attività industriali direttamente connesse con il mare, in primis l’industria cantieristica; assorbe anche le tematiche relative alla difesa o a fenomeni considerati sempre in modo avulso dalla realtà complessiva del Blue scenario, come l’immigrazione o il cambiamento in atto degli equilibri geopolitici in Mediterraneo. Di qui la scelta strategica di BlueMonitorLab di puntare per la prima volta su una visione sinergica dell’intera Blue Economy italiana, favorendo anche un’informazione trasversale.

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