Gino Finelli – Che brutto modo di fare politica, che grande squallore il dibattito sui social, nelle sedi istituzionali, le parole usate sempre in senso denigratorio, le affermazioni sulle proprie qualità e capacità, le considerazioni sulle persone. Una politica fatta di insulti, di un linguaggio a dir poco deprimente, privo di un reale contenuto, vuoto nel progetto, diseducativo e soprattutto inutile sia dal punto di vista progettuale che addirittura elettorale.
Mi chiedo come possa un elettore, almeno quello attento, immaginare di affidare la gestione della cosa pubblica a personaggi, cosiddetti politici, che sanno solo esprimersi denigrando, attaccando l’avversario, usando toni arroganti e spesso pretestuosi.
Difronte ad uno spettacolo di così insignificante progettualità mi viene spontaneo immaginare il futuro del nostro Paese, che oltre che rischiare, la oramai decadenza economica, rischia la decadenza culturale, morale e di idee, che erano stati gli elementi della sua rinascita e del suo sviluppo. Rischia di divenire il terzo mondo dell’Europa e di essere nella considerazione della nuova classe politica internazionale, almeno di una larga parte, un paese impoverito, svuotato di quell’immenso patrimonio culturale, di conoscenza e di inventiva, privato di una capacità di pensiero in grado di progettare sviluppo e benessere.
Dalla politica nazionale a quella locale lo spettacolo è sempre lo stesso, manca dialettica politica, capacità di confronto e soprattutto educazione, quella che ha da sempre consentito, pur negli scontri più aspri di ideologie, una capacità di dialogo e di comprensione.
Per dirlo con Foscolo “Questo di tanta speme oggi mi resta”.
Ci resta il vuoto più profondo, la dequalificazione umana e culturale, il linguaggio di ingiurie, la carenza di idee e progetti.
E noi elettori, attenti e non, a guardare come spettatori passivi tutto ciò che accade, affidandoci di volta in volta al meno peggio, al qualunquismo politico, all’indifferenza, giustificandoci con il dire che non si può fare più nulla, non si può più cambiare niente.
E finiamo così con l’uscire fuori da quella partecipazione attiva che è vera libertà e grande democrazia.
Dunque è tempo che torniamo sul campo, che esprimiamo, almeno chi ne ha le capacità, idee, proposte per il futuro sostenibile del nostro territorio. Uscire allo scoperto significa non solo schierarsi, ma porsi e porre delle domande, avere delle risposte e delle garanzie, imparando una volta per tutte, a decifrare quel linguaggio ipocrita e meschino fatto di parole che non possono essere capite e soprattutto che non hanno nessuna possibilità di divenire proposizioni concrete.
Un grande amico, un grande medico, uomo di indiscussa cultura e amante profondo della sua terra, Vittorio Parascandola, mi ripeteva sempre che il popolo esprime il suo consenso solo per quello che gli viene promesso, anche falsamente, non per quello che ha avuto e che gli è stato concesso. Era quella la considerazione di un uomo che avendo vissuto la propria vita per la sua terra, vedeva la sconfitta profonda del suo percorso politico e il degrado futuro che avrebbe interessato il suo territorio in termini di idee e valori.
Cercavo di parlare con lui spingendolo a immaginare un futuro differente e mi ripeteva che il futuro è fatto di uomini e di idee.
Oggi quelle parole espresse sulla terrazza della sua adorabile casa, mi ritornano in mente e mi fanno capire quanto la saggezza diviene una eredità infinitamente importante, quanto la delusione, l’amarezza e spesso anche la fragilità, siano la base da cui ripartire per immaginarci qualcosa di diverso
Aveva ragione il futuro è fatto di uomini e di idee, e la domanda per dirla con Marzullo, viene spontanea:
Quali uomini e quali idee?
Il mio è un invito ad una consapevolezza, alla capacità di ognuno di noi di ascoltare, valutare, confrontare, identificare il linguaggio e infine decidere. Non si può più dare un consenso sulla scorta di personalismi, favoritismi e quant’altro. La scelta va fatta sulle capacità dei candidati, sulle qualità che in politica significano conoscenza, competenza amministrativa, capacità di saper delegare, personalità che non può essere attribuita dal ruolo pro tempore che si occupa, ma da un percorso curriculare che rappresenta l’unica vera differenza tra le persone che intendono ricevere il nostro consenso.
Molti dei politici o politicanti di oggi, se presentassero il proprio curriculum a qualsiasi società o a qualsiasi concorso, credo che non avrebbero neanche l’opportunità di accedere al colloquio, perché la meritocrazia si conquista attraverso un percorso di conoscenza che richiede impegno, sacrificio e volontà e non perché un elettorato distratto e sfiduciato con il suo voto attribuisce qualifiche ingiustificate e ingiustificabili.
Uno, non vale mai uno, almeno in termini di qualità e conoscenze. E’ questo il fallimento della nostra classe dirigente e lo squallore vero della politica di oggi, quella politica che un tempo fu definita la seconda professione più antica del mondo, ma che come diceva Ronald Reagan, in realtà assomiglia molto alla prima.
Voglio concludere con una frase di Ernest Hemingway significativa per il nostro momento e per la criticità del nostro pensiero: “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai”
La nostra scelta per il futuro si basa solo su questa considerazione.