Procida – Un antipapa, ma in fondo ebbe il merito di convocare il Concilio di Costanza, che restituì l’unità alla Chiesa”, disse di lui il cardinale Angelo Roncalli il 27 settembre 1958. Esattamente un mese dopo divenne Papa e prese il suo nome. A raccontare “Giovanni XXIII l’antipapa che salvò la Chiesa” (Morcelliana, 528 pagine, 35 euro) è stato ieri l’altro il giornalista e scrittore Mario Prignano, caporedattore centrale del Tg1, autore dieci anni fa del saggio “Urbano VI, il papa che non doveva essere eletto”, dedicato a Bartolomeo Prignano, suo antenato vissuto all’inizio dello Scisma d’Occidente.
Nella splendida cornice di Palazzo D’avalos, la dott.ssa Raffaella Salvemini, storica e ricercatrice del CNR ha introdotto il libro di Prignano ripercorrendo i tratti salienti dell’opera, coinvolgendo nella presentazione anche gli altri ospiti il Medievalista e prof. Amodeo Feniello (Università degli Studi dell’Aquila) e il direttore degli uffici studi della Rai, Andrea Montanari.
“Le parole dell’allora patriarca di Venezia, Roncalli lasciano ben intendere tutta l’ambivalenza di una figura come quella di Cossa: un antipapa, certo, che però ebbe un ruolo di primo piano e tutto ancora da chiarire nella soluzione dello Scisma d’Occidente (1378-1417), quando la cristianità si divise in due, poi in tre obbedienze ad altrettanti pontefici – ha osservato Prignano – Un chiarimento non per tentare impossibili riabilitazioni, ma per provare a fissare alcuni punti fermi in una vicenda singolarmente intricata e altrettanto singolarmente ignorata dalla storiografia moderna: forse anche per colpa della pessima fama che, come in un gioco di eguali e contrari, ha sempre accompagnato l’’altro Giovanni XXIII’”.
Al secolo Baldassarre Cossa, apparteneva ad una facoltosa famiglia signora di Procida e Ischia, legata alla dinastia angioina. Temperamento di condottiero, non si sa perché si fece prete, perseverando in una condotta immorale e scandalosa. Rapida, grazie agli appoggi influenti dei familiari, la sua carriera ecclesiastica. Una volta comprato il titolo cardinalizio, venne soprannominato “Cardinal Diavolo”. Non per niente Dietrich von Nieheim, suo segretario e poi biografo, ebbe a scrivere che «non vi era stato peccato di pensiero, parola o azione che egli non avesse commesso».
Baldassarre Cossa-Giovanni XXIII fu un antipapa sui generis. Vissuto durante lo Scisma d’Occidente (1378-1417), quando di papi se ne contavano addirittura tre, questo focoso ischitano rampollo di una famiglia dedita alla pirateria fu accusato dai suoi contemporanei di incredibili nefandezze, dipinto come un campione di avidità, violenza, depravazione, e, infine, dichiarato “indegno”.
Fu questo scisma a determinare quasi tutta la vita di Cossa, il quale da ultimo assunse un ruolo decisivo nel ricomporre l’unità della Chiesa spaccata per il “Concilio” di Pisa del 1409 in tre “obbedienze” formatesi attorno a tre “contendentes de papatu”. Essendo eletto “papa” nel 1410 e convocando con l’aiuto del re dei romani, futuro imperatore, Sigismondo il Concilio di Costanza (1414-1418), Giovanni XXIII fece i primi passi decisivi verso il recupero dell’unità della Chiesa.
Voluta dal Cossa, l’assise si aprì il 1º novembre 1414. Come soluzione allo scisma, i tre pretendenti al papato avrebbero dovuto dimettersi spontaneamente: a farlo, tuttavia, fu soltanto Gregorio XII; Benedetto XIII tergiversò a lungo prima di essere dichiarato deposto. Quanto a Giovanni XXIII, benché avesse ripetutamente promesso ai padri conciliari di deporre la tiara, memore della sorte toccata a Celestino V dopo la sua abdicazione fu preso dal panico e abbandonò furtivamente Costanza: fu solo la prima di una serie di fughe, imprigionamenti ed evasioni. Catturato infine, fu processato per una impressionante quantità di colpe, tra cui anche la fuga, finalizzata – si disse – a far fallire il concilio. Era il 1415 quando venne deposto e affidato alla custodia, in Germania, del conte palatino del Reno Ludovico III di Baviera.
Fu il nuovo papa, eletto nel 1417, a trattare per la sua liberazione. Nell’aprile del 1418 Baldassarre Cossa venne consegnato ai commissari pontifici grazie all’intervento dell’amico Giovanni di Bicci de’ Medici, che come riscatto pagò la notevole somma di 30 mila fiorini. Dopo un nuovo e fallito tentativo di fuga dovuto ai ricorrenti attacchi di paura, il deposto papa si rassegnò a recarsi a Firenze (23 giugno 1418) dove, umiliatosi ai piedi di Martino V, lo riconobbe legittimo pontefice. Da parte sua, in segno di conciliazione, questi concesse al Cossa il titolo cardinalizio e lo nominò vescovo del Tuscolo. In tale veste, ospite di Cosimo il Vecchio, il nostro concluse la sua vita esagitata venendo sepolto, come suo desiderio, in quel Battistero al quale aveva donato la preziosa reliquia di un dito di san Giovanni Battista, patrono di Firenze.
La fuga clandestina da Costanza, il carcere duro, la liberazione (grazie all’oro dei Medici) e la sottomissione al pontefice legittimo Martino V non attenuano le colpe di Baldassarre Cossa. Ma, a seicento anni da quegli eventi, è forse il momento di guardare con più obiettività all’“altro Giovanni xxiii”. E magari scoprire che, quando la confusione è massima, perfino un antipapa può contribuire a salvare l’unità della Chiesa.
Il processo imbastito al concilio di Costanza contro Cossa-Giovanni XXIII fu dunque la più violenta campagna di fake news messa in atto contro un pontefice, tanto che per secoli in tanti nella Chiesa ritenevano questo Giovanni XXIII il Papa.
Grazie all’enorme mole di documenti consultati, Prignano ci immerge in presa diretta in un’epoca di grandi sofferenze per la cristianità, turbata anche dall’interferenza di principi ed eserciti, ricostruendo «dialoghi, stati d’animo, ambienti, situazioni, avvenimenti i più disparati con una vivacità e un realismo che non ci si aspetterebbe da documenti antichi e polverosi».
Con questa fatica letteraria l’autore spera di “smuovere un po’ le acque in modo che, arrivati a seicento anni dalla sua morte, avvenuta il 27 dicembre 1419 a Firenze, il ‘caso Cossa’ possa essere indagato come merita dagli studiosi: “ho cercato – dice Prignano – di raccontarlo adoperando uno stile e un tipo di linguaggio che, cominciando dal titolo, volutamente provocatorio, non rispecchiano lo stile e il linguaggio di un lavoro accademico in senso stretto”.