Procida – Bugie, bugie, che ascolto di continuo nelle interviste e sui social. Bugie con concetti falsati da affabulazioni dettate esclusivamente da personalismi e sulla base di una assoluta mancanza di autocritica e di valutazione delle capacità. Un gruppo di ragazzi un po’ folli, come ho sentito definire gli amministratori, che proprio perché sono un po’ folli, sviluppano l’ossessione di non riuscire ad ascoltare, guardare, percepire e infine capire chi per capacità, esperienza e qualità è di gran lunga, non solo meno folle, ma anche più capace.
Non voglio ancora una volta esprimere la mia totale disapprovazione per la scelta, ma finanche per l’idea, scellerata della Sagra del Mare, per quello ci sarà tempo nelle sedi opportune per chiarire gli errori commessi e giudicare le responsabilità. Oggi mi limito ad osservare le parole dette, quelle ripetutamente affermate sui social e quelle forse che credo verranno, parole ripetitive prive di un contenuto, vuote nel linguaggio e soprattutto sempre senza un progetto, destinate a quel popolo che ancora crede che il futuro è legato alle piccole e mediocri conquiste e libertà di autogestione di un territorio che dicono, solo a parole, di voler proteggere, ma che violentano tutti i giorni con il comportamento e le scelte.
Si predica parlando di sviluppo, di ordine, di risanare gli errori degli altri senza mai guardare quelli commessi per poi consentire di tutto: occupazione selvaggia di suolo pubblico, concessione di circolazione a qualsiasi ora, disordine nei posteggi, nei trasporti, assenza di controllo del territorio ecc, ecc. E tutto questo per non inimicarsi quella fetta di popolazione che vede in queste piccole libertà una conquista, che continua a chiamare forestiero il turista che porta soldi, benessere e ricchezza e che rappresenta la via del turismo, che se ben gestita, è l’altra possibilità di lavoro e sviluppo del territorio.
E non si tiene in nessuna considerazione il decoro urbano e con esso il controllo di tutti quegli esercizi commerciali che deturpano con i loro arredi e le loro installazioni per la vendita, gli spazi pubblici, i tavoli dei ristoranti che occupano banchine e piazze in modo disordinato, infangando una immagine di bellezza e storia che andrebbe protetta proprio per garantire, a quegli stessi commercianti, il loro profitto.
Come in tutti paesi, anche in questo, nonostante l’elevato livello sociale e la conoscenza del mondo da parte delle sue genti, la politica diventa accusa, scontro personale, offesa e spesso anche denigrazione non motivata e non motivabile del proprio avversario, senza mai aprirsi ad un confronto democratico di idee e di pensiero, ad una dialettica progettuale, ad argomentazioni di qualità
E non ascolto mai un programma che, al di là delle solite e ripetitive parole inutili e di sola propaganda, esprima un progetto concreto e sostenibile di sviluppo e direi anche di salvaguardia per questo territorio violentato e degradato proprio da chi ritiene di averlo protetto.
Vorrei insegnare a tutti, e questa volta privandomi della modestia che da sempre ha accompagnato le mie considerazioni, che l’arte di amministrare la cosa pubblica a qualsiasi livello richiede oltre che una esperienza, uno studio, una ricerca costante e continua di conoscenza, una capacità di recepire consigli e suggerimenti, ma soprattutto di ascoltare e confrontarsi, imparando così a conoscere i propri limiti, e utilizzando gli altri per colmare le deficienze.
Io non so come finirà lo scontro elettorale tra i due candidati, ma ritengo assolutamente utile per la popolazione farli sedere dietro lo stesso tavolo e ascoltarli, dando la parola alle domande dei cittadini, rispondendo ad esse, in un confronto democratico di idee e pensieri. Un dibattito privo delle mediocrità della politica locale, quando per farsi belli e dimostrare le proprie virtù, si scarica sull’altro, anche a livello personale e spesso familiare, l’incapacità, le responsabilità, arrogandosi diritto di onestà, correttezza e pulizia, che sono definibili tali solo secondo un pensiero unico.
Ho l’impressione che non si è capito il senso della politica e mi fa piacere ricordarlo.
Il senso della politica è anche quello del rapporto fra questa e l’etica, bisogna che ci si chieda se la politica debba fondarsi sul bene, su valori morali e, se sì, da chi stabiliti, o se invece non si dia essa stessa i propri valori, e in questo caso quali.
In ogni caso bisogna scegliere dei valori, anche quando si vuole stabilirli e decidere autonomamente, indipendentemente dal pensiero di altri. E allora quali sono i valori che si vuole attribuire alla politica sul nostro territorio, quali le ragioni per cui si scende in capo chiedendo il consenso, quali le motivazioni che dovrebbero spingere il cittadino a dare fiducia?
Ecco dunque la necessità di smetterla di parlare, ma di raccontare con fatti, progetti, competenze cosa si vuole e si immagina di fare.
Non ci poteva capitare di peggio di avere, a livello Nazionale, personaggi della cosiddetta società civile divenuti politicanti che hanno contribuito a minare nel profondo l’identità culturale della nostra Nazione. E il solo pensiero che gestiscono la cosa pubblica, mi crea sgomento. Ma questo è il nostro tempo quello dell’approssimazione, della mediocrità, della ricerca di consenso immeritato.
Non possiamo e non dobbiamo identificarci con questa realtà, anzi dobbiamo elevare la nostra protesta e far sentire, a tutti i livelli, la nostra voce perché solo così salveremo il futuro della Nazione e quello dei nostri figli.
Diceva Giorgio Gaber, già prevedendo il decadimento della classe politica:
“L’Italia di Mazzini, di Cavour, dei nostri martiri, degli invalidi senza gambe senza braccia, l’inno di Mameli, il tricolore che sventola. E’ duro rendersi conto che si sia dissolta cosi, al vento, pum, come una scoreggia”.
E sta avvenendo nel linguaggio, nei modi e nel comportamento proprio il dissolversi di quanto, con fatica era stato costruito dai nostri padri. La decadenza oltre che morale, del pensiero e della conoscenza, dell’educazione e del rispetto, valori che quando si perdono inevitabilmente determinano la nostra agonia.
Abbiamo il tempo per capirlo e riprendere ad ascoltare, parlare confrontarci, studiare, accettare, responsabilmente e poi costruire il nuovo pensiero e la nuova identità.
Per dirlo con Dante: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per siguir virtute e conoscenza”.