Gino Finelli – E’ stata tanta l’ostinazione che alla fine ha superato non solo la ragione, per quella forse bisogna che si impari a capire il suo linguaggio, ma persino il buon senso. E alla fine l’arrangiata e inutile Sagra del Mare, con l’elezione della Graziella, si è tenuta, in uno scenario incantevole riservato a pochi e senza quella partecipazione popolare che è la vera ed unica ragione della manifestazione.
Una scelta arrogante ed inutile, oltre che pericolosa per la collettività, dettata unicamente dall’approssimarsi della consultazione elettorale. Come ho già più volte detto e scritto il riacutizzarsi dell’epidemia da Covid avrebbe dovuto essere la ragione prima per evitare tutte quelle condizioni di probabile diffusione del contagio e avrebbe dovuto rappresentare anche la continuità di un discorso, più volte ripetuto proprio dagli amministratori, di proteggere la popolazione da situazioni di possibile rischio. Ma così non è stato, sia a livello Regionale che Comunale, lasciando quella libertà decisionale, pericolosa e improduttiva sotto l’aspetto epidemiologico.
Ancora una volta ha prevalso, a svantaggio della collettività, quell’interesse legato a fini elettorali che passa anche attraverso un permissivismo e una soppressione di regole e sanzioni. E così è avvenuto che questa estate, quella nella quale vi doveva essere una corretta regolamentazione delle attività turistiche, è divenuta anarchia pura, anzi si è lasciato passare un subdolo e inquietante messaggio che tutto era finito e che oramai il pericolo era alle nostre spalle.
E così nello scenario incantato dei nostri luoghi simbolo, si è assistito ad un turismo selvaggio e inappropriato, incurante del rispetto del territorio e alimentato proprio da quegli operatori che avrebbero dovuto e potuto far rispettare regole e comportamenti a garanzia dei loro profitti, evitando l’abbandono di quel turismo di qualità che è stato ed è la ragione del successo di Procida.
Ma ritornando alla sagra del mare, di quel che resta oramai da anni di una manifestazione popolare, che a dire il vero non ha nessuna tradizione storica, essendo legata all’inventiva di un comandante che, dopo aver letto Graziella di Lamartine, si innamorò della storia d’amore e propose la istituzione di una festa popolare con appunto l’elezione della ragazza Procidana più bella, con il suo costume tipico descritta proprio dal giovane scrittore Francese. Ecco perché sono appena settant’anni che si celebra la ricorrenza, interrotta solo durante la seconda guerra mondiale, e poi divenuto un appuntamento fisso, fortemente sentito dalla popolazione. Una sorta di palio della bellezza femminile e della sua tradizione isolana, con la competizione tra le grancie e lo spirito di appartenenza al territorio.
Ma nella manifestazione la Graziella è solo l’epifenomeno, trattandosi di una sagra al mare dedicata, a quel mare che ha dato e continua a dare tanto alle nostre genti e che è stato nel tempo fonte di ricchezza, sviluppo e conoscenza e che, ancora oggi, rappresenta la risorsa principale che fa si che il reddito pro capite della popolazione risulti essere uno tra i più alti d’Europa.
Dunque si è fatta la manifestazione senza il mare, quel mare che affascinò tanto Elsa Morante, che è la ricchezza e la forza dell’Isola, che è il simbolo della nostra immensa e gloriosa storia.
E’ da tempo che la festa è divenuta un momento di ludicità nella quale, e in questo vi è anche una mia responsabilità per gli anni che mi hanno visto all’organizzazione dell’evento, si è trascurato proprio quel mare che, oggi più che mai, rappresenta la nostra risorsa sia in termini di lavoro che di turismo.
E proprio in quest’anno così particolare forse una maggiore sensibilità verso il settore della marineria mercantile, della pesca del turismo da diporto sarebbe stata opportuna e doverosa. Avrebbe fatto sì che i nostri giovani, futuri capitani, macchinisti, skipper ecc, fossero coinvolti in un progetto comune di tutela, salvaguardia e sviluppo della nostra risorsa primaria.
Ma è tempo di elezioni e quella sensibilità tanto palesata nei mesi del lockdown è scomparsa lasciando spazio alla follia collettiva, all’incuranza di regole e comportamenti. Alla fine ha prevalso la completa libertà di azione incontrollata data a quel popolo che aveva apprezzato il comportamento duro e spesso arrogante dei nostri governanti, avendo per così dire preso coscienza della problematica e con essa del valore assoluto della salute e della vita. Ma da quell’esperienza, nonostante le dichiarazioni di eminenti psicologici, questo popolo non solo non aveva imparato nulla, ma quella rinnovata coscienza era ed è solo nelle parole dei cosiddetti esperti che hanno riempito ore di televisione con le loro inutili affermazioni.
Dunque ora che la Sagra del Mare si è conclusa è tempo di bilanci. E’ tempo che ci si chieda se si gestisce la cosa pubblica per la collettività. Se è opportuno, ma direi giusto e corretto, scavalcare tutto e tutti per imporre un pensiero ed una decisione unica senza senso, inutile, scellerata e rischiosa. Mi si dirà che sono state attivate tutte le misure di profilassi previste dalla legge e la mia risposta è sempre la stessa: quale era la ragione e la motivazione per tenere una manifestazione pubblica, che poi pubblica non lo è stata e quale, ancor di più, quella di farla alla fine a porte chiuse rinnegando la sua storia di festa popolare, la ragione stessa di essere e le motivazioni che sono alla base della Sagra del Mare?
E’ proprio in quest’anno nel quale si è raggiunta la punta massima di disordine, degrado e di incontrollato afflusso di turisti, spesso maleducati e poco rispettosi della comunità locale che hanno contribuito ad allontanare quel turismo culturale e di qualità che aveva scelto la nostra Isola proprio per le sue caratteristiche e la sua gente. Spero che gli operatori non dovranno pentirsi di ciò che è accaduto.
Oramai scrivo solo perché rimanga traccia di questo lungo periodo della nostra storia, quello simile al fronte dell’uomo qualunque di Giannini che concepiva solo uno stato di natura amministrativa e non politico, senza alcuna base ideologica e culturale. Il risultato fu il qualunquismo con i suoi atteggiamenti di sfiducia nella politica e nei suoi uomini indicando dunque nell’uomo comune un possibile gestore della cosa pubblica. Come tutte le cose che non hanno, e non producono idee il movimento fallì, lasciando però quel termine e quell’idea di “qualunque” che oggi è ritornato prepotentemente nella nostra vita politica e che ha e sta minando alla base le nostre radici culturali e, per alcuni aspetti, anche la nostra democrazia.
Se non avessimo avuto uomini come De Gasperi, De Nicola, Enaudi, Aldo Moro ecc.ecc. l’Italia non sarebbe divenuta una potenza mondiale e non avrebbe avuto quello sviluppo economico, politico e culturale, probabilmente starebbe oggi ancora a discutere sulla sua identità e sul suo ruolo nell’Europa moderna. Come sempre la storia la fanno gli uomini e spero di poterla raccontare, e con essa gli uomini che l’hanno fatta, nel prossimo futuro.