Gino Finelli – Ora che i giochi sono fatti e le urne si sono chiuse, in un clima spero di serenità si può tentare di fare un’analisi attenta di quanto è accaduto e di ciò che rappresenta, sotto il profilo sociale, il risultato elettorale. Innanzitutto però è doveroso complimentarsi con il vincitore che ha saputo portare avanti in modo coerente la sua linea politica ed affrontare una competizione con una campagna elettorale anomala e per alcuni versi deludente, sia sotto il profilo progettuale che su quello più propriamente politico. Va comunque dato atto del risultato sperando che, indipendentemente da chi ha votato uno o l’altro schieramento, sappia essere questa volta il sindaco aggregativo che ha, ora più che mai, il compito di rappresentare l’intera collettività che non gli ha dato un consenso unanime o fortemente maggioritario. Auguri dunque per il lavoro da intraprendere in questi prossimi cinque anni con il solo consiglio di ascoltare e confrontarsi di più.
Ma veniamo ad una analisi di quanto è accaduto. Ho assistito ad una campagna elettorale squallida e senza alcun scontro politico. Improntata su personalismi, su un lontano quanto insignificante passato, su colpe dell’avversario e soprattutto depauperata dall’aspetto più importante che è quello dello scontro ideologico tra due raggruppamenti che, se pur presentatesi con liste civiche, sono di fatto espressione di un diverso modo di vedere la società e di amministrare la cosa pubblica. Ci si è impantanati sugli errori reciproci, sulle mancanze di ciascun amministratore spesso scendendo nel personale e utilizzando, attraverso i social, anche espressioni di scarso livello culturale e non degne di chi immagina e chiede di amministrare la cosa pubblica. Ho assistito, anche per esserne stato fautore, ad un dibattito tra i due contendenti di scarsissimo significato politico, senza alcuna progettualità reale. Parole dette e risposte date al solo fine di attaccare re l’avversario, peraltro con tempi vergognosi per una risposta esaustiva dell’argomento trattato. Un dibattitto per così dire paesano e, uso un termine volutamente dispregiativo, che a mio avviso sarebbe stato meglio evitare per entrambi. Nessuno ha detto niente e nessuno ha potuto rispondere a niente finendo così con l’essere una sostanziale prova di capacità di scontro verbale ed a volte di offese. Se questa è la politica forse appartengo davvero al passato a quel passato che sapeva rappresentare posizioni nel rispetto dell’avversario e dell’istituzione. Ma erano altri tempi quelli dell’ideologia frutto di un percorso culturale e di militanza.
In ogni caso il popolo, quello sovrano, che alla fine sovrano non lo è poiché si lascia ampiamente condizionare dal sentito dire, dalle affabulazioni, che si lascia affascinare dalle promesse e dal falso perbenismo, che si convince della bontà di una posizione solo perché ha antipatie personali, ha scelto sia pur con un piccolissimo margine di vantaggio determinando così di fatto una scissione della popolazione che ora si ha il dovere di evitare che si frantumi. In tutto questo scenario, quello del nuovo modo di fare politica e campagna elettorale, i social sono divenuti i comizi di un tempo, la piazza su cui esprimere opinioni, scontrarsi con gli avversari esprimere un progetto, ma anche la piazza che, permettendo a tutti di poter dire la propria, ci ha fatto comprendere come è cambiata non solo la comunicazione, ma la lingua italiana, probabilmente male utilizzata spero per la fretta di scrivere spesso su una piccola tastiera. Di certo però un’analisi dei contenuti di quanto letto lascia pensare che questo paese e, parlo dell’Italia, ha davvero bisogno di un rinnovamento profondo che inizi proprio dalla scuola e che prosegua nelle università e nelle istituzioni, un rinnovamento che produca conoscenza, cultura, senso civico, rispetto dei valori etico morali, educazione sociale. Un compito difficile e ingrato che avranno gli educatori e i politici che verranno poiché questa è l’ultima occasione per non precipitare in un baratro che porterebbe ad una inevitabile decadenza.
Bisogna che si spersonalizzi la politica che non si scelga la persona, ma che si ritorni alle idee, al programma, a quello che di concreto e sostenibile è davvero possibile fare. Ci siamo lasciati in questi anni incantare da affabulatori che attraverso un linguaggio, a tratti violento e volgare, hanno istigato alla ribellione producendo così una classe dirigente di scarsissimo livello e facilmente dominabile dal furbo di turno che si è trovato così il suo posto di gallo in mezzo ad un gallinaio insignificante e non pensante. Un grave errore che ha fatto anche la mia generazione producendo così conflittualità poiché, un ruolo istituzionale occupato da un mediocre e spesso anche impreparato, finisce con l’essere di esempio e di costruire una generazione politica di improvvisati. Ma ritornando alla nostra realtà è tempo di contenuti, di finirla con l’amministrazione ordinaria e di indicare una strada da percorrere per produrre ricchezza, occupazione e sviluppo sostenibile correggendo tutte quelle licenziosità che sono state e sono la ragione del successo di tante amministrazioni. Lo si deve fare per le generazioni a venire affrontando anche l’impopolarità che decisioni complesse comporta. Spero che si sia capaci di tutto questo, e che si guardi oltre il proprio naso che si riesca a identificare anche in persone che non hanno quella propensione al personalismo politico, un serbatoio di conoscenza esperienza e cultura utile per il territorio. E’ solo degli stolti immaginare di conoscere e saper fare tutto. Ora maggioranza ed opposizione hanno il dovere in questi prossimi cinque anni di preparare la futura classe dirigente del paese, devono essere una guida di insegnamento amministrativo e politico per la gestione della cosa pubblica, devono indicare una strada coinvolgendo nelle scelte l’intera collettività e questa volta utilizzare i social non per le squallide e insignificanti scaramucce tra avversari, ma per comunicare con tutti in quella piazza virtuale che è e può essere occasione di scambi di idee e di accettazione collegiale di proposte, oltre che un mezzo incredibile per diffondere conoscenza e cultura. Mi auguro che tutto ciò possa accadere e vigilerò riservandomi il diritto-dovere di intervenire per ricordare che il tempo dello scontro è finito e che la nuova stagione deve essere quella di una rinascita e della costruzione e realizzazione di obiettivi sostenibili