Gino Finelli – Sono oramai moltissimi anni che scrivo sulle pagine del Dispari e su tg Procida, ogni volta ponendo l’attenzione su qualche problematica politica, sociale, di sviluppo e così via e, rileggendo gli ultimi anni, mi sono accorto di avere davanti un patrimonio di interventi tutti finalizzati a produrre una coscienza per migliorare, implementare e sviluppare il nostro territorio. Una sorta di percorso che ha accompagnato in questi anni i cittadini che hanno avuto la pazienza di leggere gli accadimenti dell’Isola e il suo ipotetico sviluppo.
A distanza dunque di oltre sei anni rileggendo, come in una sorta di cronistoria le pagine scritte, mi sono reso conto di quanto sia stato inutile aver prodotto stimoli e, a volte idee, e aver tentato di creare quella coscienza collettiva per la salvaguardia e lo sviluppo sostenibile.
Leggo il passato e mi accorgo che tragicamente tutto è immutato per cui potrei prendere un articolo scritto molto tempo fa e riproporlo senza alcuna preoccupazione di incorrere in un errore poiché tutti i problemi sono rimasti tali e l’immobilismo è divenuto oramai una priorità nell’agenda di chi governa.
Vecchie problematiche, frammiste agli avvenimenti più recenti, convivono nello spazio e nel tempo come elementi indefiniti e indefinibili di un percorso che non ha né un inizio, né tanto meno una fine.
Non vi sono alibi o giustificazioni, vi è solo la necessità di accettare un modo di pensare, una genetica isolana che non lascia spazio ad iniziative e progetti futuribili e qualificanti per le generazioni a venire, ma che continua a difendere vecchi privilegi, abitudini ingiustificabili ed atteggiamenti di assoluta mancanza di rispetto verso il territorio.
E’ dunque impensabile immaginare un divenire diverso, un progetto che sappia cogliere le esigenze future ed essere al passo con l’evolversi veloce dei tempi. Anche dopo la recente consultazione elettorale il dopo elezioni non ha dato segni di cambiamenti, anzi si sono radicate le posizioni e, direi anche aggravati quegli atteggiamenti di scontro assolutamente improduttivi per il bene dell’Isola e di certo non in linea con un bisogno percepito e percepibile di riconciliazioni delle parti che continuano, vinti e vincitori, ad usare lo stesso linguaggio, gli stessi atteggiamenti e lo stesso squallido modo di intendere e fare politica.
Dunque si continua a scrivere esclusivamente per lasciare una traccia indelebile degli accadimenti, per manifestare la disapprovazione e soprattutto per rappresentare un pensiero proiettato alla sensibilizzazione e alla realizzazione di una coscienza collettiva per il bene del paese.
L’estate appena trascorsa è stata la dimostrazione di quanto l’ignoranza, frammista allo scarso senso civico e alla poca sensibilità verso le problematiche sociali, sia dilagante su tutto il territorio nazionale, di quanto poco il cittadino è incline al rispetto delle regole verso se stesso e gli altri e di quanto l’apparire, spesso con quella spavalderia espressione diretta di scarsa cultura e conoscenza, sia più importante dell’essere e addirittura più sentita della salute. Nulla ha insegnato il Covid né ai cittadini, né ai governanti che, come sempre per consenso e convenienza, hanno fatto finta di non vedere per non dovere intervenire.
Ma che paese è questo se non ha il coraggio di affrontare anche con l’impopolarità, le necessità del suo popolo?
Quello che ci aspetta non è un semplice esercizio di buona amministrazione, ma un percorso ad ostacoli in un momento storico di emergenza assoluta sia sotto il profilo sanitario che economico. Il virus quasi certamente terminerà la sua corsa in poco tempo, ma il disastro che avrà determinato sarà imponente e si manifesterà soprattutto quando la mia generazione, che oggi fa da welfare per in nostri giovani, scomparirà e moltissimi si troveranno senza il paracadute della famiglia, in un a realtà sempre più con meno prospettive occupazionali e priva di idee. La grande produttività manifatturiera che era e, lo è ancora di fatto, la vera grande ricchezza si avvia lentamente ad essere sostituita da virtualità che non hanno un reale substrato economico. Un paese che in questi ultimi venti anni ha svenduto il suo grande patrimonio industriale, che ha depauperato il suo grande potenziale di conoscenza e che ha trasformato e rinunciato alla immensa capacità creativa finendo con il divenire povera di uomini e mezzi.
Ad accompagnare la nostra discesa una classe politica sempre più povera di cultura e di valori e priva di una capacità progettuale, protesa esclusivamente ad un consenso immediato, anche se temporaneo e tesa esclusivamente a salvaguardare le posizioni acquisite. Gli esempi sono davvero tanti, che è inutile descriverli.
Saremo pronti? Noi continueremo a scrivere, consapevoli che solo pochissimi ci leggeranno e nessuno risponderà alle nostre domande e alle nostre considerazioni. Consapevoli della vuotezza della nostra “nuova società” e della politica, coscienti che prima o poi, quando finirà il sostegno sotterraneo e cadranno le giustificazioni, nascerà una nuova ribellione e solo allora, forse davvero, si assisterà ad una nuova coscienza sociale.
Scrivere dunque per non dimenticare, scrivere per ricordare, far ricordare e affermare la consapevolezza dell’essere.
Per dirlo con Giorgio Gaber: “ In un tempo senza ideali né utopia, dove l’unica salvezza è una onorevole follia”