Procida – L’anno nuovo ormai alle porte molto verosimilmente, stando così le cose, porterà sui tavoli delle istituzioni, la chiusura della struttura di Opera pia Albano Francescano. Almeno in forma temporanea fino a quando non si cercherà una soluzione adeguata per la sopravvivenza.
Ad accendere di nuovo i riflettori è stato ieri l’altro, proprio nel giorno di natale il Dott. Giacomo Retaggio, medico e storico dell’isola:
«Ho riflettuto molto prima di scrivere queste cose proprio il giorno di Natale perché sono un pugno nello stomaco per ogni uomo degno di essere chiamato tale. L’ospedale Civico Albano Francescano è a reale ed inderogabile rischio di chiusura! Ho scritto in proposito un articolo cinque anni fa ed un altro meno di un mese fa sperando di svegliare l’opinione pubblica. Forse solo in questi giorni, in seguito al mio ultimo articolo si sta muovendo qualcosa. Ma è ancora poco, troppo poco. Mi accingo a spiegare ancora una volta la situazione.
L’Ente assiste attualmente appena cinque persone indigenti e malate che versano anche la loro pensione. E pure non riesce ad andare avanti! Siamo al colmo del ridicolo. Ma è un ridicolo, secondo una strana ed ancora più ridicola logica, quasi giustificato. Tutto nasce da una sentenza della Cassazione del settembre 2019 che assegna ai fratelli Diana tutte le proprietà dei Lachianca, compresa Vivara, ai fratelli Diana di Monte di Procida. Questi, il cui padre aveva iniziato la causa di rivendicazione una ventina di anni fa, sono diventati proprietari di tutti i beni dell’Albano Francescano.
Io non voglio pronunciare nessun giudizio morale su questi individui che, fregandosi altamente dell’esistenza di quei poveri vecchi malati e nullatenenti e ben sapendo che sarebbero rimasti senza alcuna forma di sostentamento, sono andati avanti per la loro strada in virtù di un principio legale, ma estremamente egoistico. D’altra parte; “dura lex sed lex”. Ma c’è anche il detto “Summa lex, summa iniuria”, vale a dire : l’applicazione precisa della legge è un somma offesa. Ormai, però, le cose stanno così. Ma perché si è arrivato a tanto? La domanda è la classica domanda da un milione di dollari.
Nel testamento di Domenico Lachianca del 1940, c’era scritto chiaramente, tra le volontà del testatore, che il consiglio di amministrazione dell’Albano Francescano, doveva essere integrato di “altri cinque probi cittadini” probabilmente per renderlo più equilibrato. Questo passaggio, dal 1940 ad oggi, non è stato mai fatto. Ecco perché la Cassazione ha dato ragione ai Diana applicando la legge “sic et simpliciter” senza tener conto di alcuna ragione umanitaria. In effetti, a rigor di logica, sia la Cassazione, sia i Diana hanno ragione.
La vera colpa dell’attuale stato di cose è di coloro che non hanno applicato le disposizioni del testamento di La chianca dal 1940 ad oggi. Quello che mi fa andare in bestia è il dovere assistere alla morte di un Ente ricchissimo che per l’insipienza o la mala fede di pochi deve andare in malora senza essere in grado di poter assistere cinque ( dico cinque) vecchi. Oggi, forse per un rigurgito di coscienza morale, si tende di correte ai ripari con collette e lotterie varie. Ma è tardi, troppo tardi! E poi il ricavato è una goccia nel mare a fronte della situazione economica dell’Ente. Non volevo, amici lettori, tediarvi con queste brutte notizie in questi santo giorno, ma è stato più forte di me».
In men che non si dica è arrivata anche la risposta dell’avv. Mariano Cascone ex presidente della fondazione che ha evidenziato finanche delle responsabilità di natura personale:
«Caro dottore, sull’aumento del cda voluto dal dott. La Chianca in favore del Comune, ci sarebbe molto da dire. Per ora mi limito a ricordare che, quando ero Presidente, posi la questione all’ordine del giorno in cda e la maggioranza dei consiglieri chiese addirittura le mie dimissioni perché avevo osato chiedere il rispetto del testamento. Ho conservata ancora la delibera che custodisco gelosamente a futura memoria. Prima di me ci provò Luigi Muro quando era Sindaco, purtroppo con la medesima sorte. L’amministrazione Vincenzo Capezzuto ottenne una sentenza del tribunale di Napoli favorevole sulla questione, ma venne fatto appello. Ne’ l’attuale amministrazione vi ha posto esecuzione sebbene non mi risulta sospesa la sentenza di primo grado. Forse questa omissione gravissima non sarà stato uno dei motivi dirimenti della causa Diana, ma resta una macchia indelebile nella storia dell’Ente che ne ha segnato le sorti quantomeno morali. E forse anche materiali. Sono certo che prima o poi se ne parlerà pubblicamente, carte alla mano con nomi e cognomi. E qualcuno dovrà darne conto alla comunità procidana.»
Nella tarda mattinata di ieri la replica a corredo del post del dottor Retaggio è arrivata dall’attuale presidente della fondazione, Ing. Peppino Rosato:
«Caro Giacomo, in qualità di presidente pro-tempore dell’Opera Pia, ritengo opportuno che anche gli amici che hanno letto e commentato il tuo scritto siano a conoscenza che la situazione da te riportata é totalmente diversa dalla realtà, per quanto a te riferito. Come hai potuto renderti conto dalla documentazione che ti ho inviato non c’é alcun nesso giuridico tra l’ampliamento del C.d.A dell’Opera Pia e la vertenza dei Diana. Se vorrai potrai condividere con gli amici tali informazioni.
Non intendo sollevare polemiche, nemmeno nei confronti di chi ha retto in passato incarichi di gestione dell’Ente, pur se opportune precisazioni di comportamenti e scelte, anche nella vicenda dallo stesso gratuitamente commentata, lo richiederebbero, essendo stati pubblicati i documenti originali dal Procida Oggi del maggio 2013.
L’Ente oggi ha necessità di tutt’altro. Poniamo tutte le energie a salvare l’importante istituzione umanitaria che è stata di grande aiuto per gli “ultimi” ieri, lo sarà ancor più in futuro. Può essere utile a ciascuno di noi poter contare sulla sua assistenza. Se c’è chi deve dar conto dei propri comportamenti lo vedremo dopo. Confermo la mia massima disponibilità a collaborare per fare chiarezza.»