Sebastiano Cultrera – La luce in fondo al tunnel c’è: non solo si vede ma cominciamo a sentirne il tepore. Il Vaccino non è solo una promessa: è realtà ed è cominciato ad essere somministrato anche nella “nostra” Europa. La quale, oggi, per una serie di ragioni (non ultime quelle economiche) sembra essere meno matrigna di quanto fosse sembrata nel recente passato.
Ma parliamo di Procida. Il dato che la nostra concittadina dottoressa Maria Rosaria Capobianchi sia stata la prima italiana a sottoporsi al vaccino dovrebbe fare riflettere la nostra comunità. Soprattutto dovrebbe fare riflettere quei tuttologhi del nulla e molti scettici in buona fede che stanno conducendo, anche nella nostra isola, una campagna (più o meno) silenziosa contro il vaccino. O che, per lo meno, si stanno chiudendo in un mutismo, sul tema, fatto di dubbi e di riserve di vario tipo. Che sono, ovviamente comprensibili.
Come sono comprensibili alcuni sentimenti di timore verso un medicinale nuovo, i cui effetti collaterali potrebbero, in alcuni casi, provocare qualche disturbo. Ma qualsiasi farmaco o, in genere, qualsiasi alimento che introduciamo nel nostro organismo può provocare squilibri o effetti collaterali indesiderati. Anche una banale aspirina può causare danni imprevisti. Che facciamo? Smettiamo di prendere medicine? Smettiamo di cibarci? Insomma l’overdose di informazione, specie quella (falsamente) confidenziale che alcuni (falsi) amici fanno girare sui social (per seminare panico ad arte) che semina dubbi e agita paure può fare deviare la ragione dall’obiettivo corretto. Bisogna, invece, credere nel lavoro degli scienziati.
E proprio il fatto che una nostra concittadina, che è anche una delle maggiori scienziate italiane, proprio nel settore della VIROLOGIA, abbia scelto di VACCINARSI PER PRIMA dovrebbe farci stare più tranquilli. Nella consapevolezza che l’assunzione del vaccino è una necessità sanitaria oggettiva che potrà debellare il virus, salvare vite umane e consentire la ripresa della nostra vita collettiva.
Maria Rosaria Capobianchi, la virologa procidana, era già balzata alle cronache nazionali, perché guida una equipe (allo Spallanzani di Roma) che PER PRIMA ha isolato il genoma del virus ed ha, quindi, seguito, dall’inizio la vicenda della lotta della comunità scientifica CONTRO IL VIRUS, combattendola in prima persona. Il suo gesto di PRIMA VOLONTARIA è, quindi, ancora più significativo perché sottolinea come il VACCINO rappresenti, oggi, lo strumento più POTENTE nella lotta al VIRUS.
Vacciniamoci, quindi. Facciamolo anche noi, in questa isoletta nel mediterraneo, a significare che la nostra illustre compaesana ci rappresenta e che ci RASSICURA. È un gesto che può salvare le nostre vite e che può salvare le vite di chi ci sta accanto.
A chi ha paura (e la paura è sempre legittima) cerchiamo di spiegare che, invece, il VACCINO è la strada per VINCERE LA PAURA più grande: che è quella del COVID 19. Superiamo, quindi, la nostra piccola paura individuale per SCONFIGGERE la grande paura collettiva che sta paralizzando il mondo intero.
A chi fa il “furbo”, o crede, effettivamente, di esserlo, perché “pensa con la testa propria” e non vuole credere alle “fandonie della vaccinazione di massa”, magari pensando di fare il “brillante” citando le solite “teorie del complotto” non diciamo nulla: è probabile che lo troveremo, alla fine, in fila a vaccinarsi SOLO DOPO avere visto amici e parenti più tranquilli e sereni, dopo vaccinati.
Spesso si tratta delle stesse persone che additavano i giovani che si assembravano nei bar, che chiamavano criminale chi si abbassava la mascherina, che continuano a vivisezionare ogni divieto cogliendone ogni minima contraddizione. Ma oggi, in palese contraddizione, essi scelgono la “libertà di cura” (anzi di non cura, senza il vaccino) CONTRO la necessità di sicurezza collettiva.
Ma, come ci spiega Massimo Recalcati: “una delle lezioni più significative impartite dal magistero tremendo del Covid consiste nell’averci mostrato che la salvezza o è collettiva o è impossibile e che, di conseguenza, o la libertà viene vissuta come solidarietà o resta una dichiarazione solo retorica”.