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L’editoriale di Gino Finelli: «Democrazia e demagogia»

DiRedazione Procida

Gen 31, 2021

Gino Finelli – Non avrei mai pensato di dover elogiare il comportamento di Matteo Renzi. Non lo avrei mai immaginato poiché ho sempre valutato nella figura politica una sorta di imbonitore capace di ammaliare la gente a suo esclusivo interesse. E forse per il passato è accaduto anche questo finendo con il rovinare la sua carriera politica, almeno fino ad ora, quando improvvisamente difronte ad uno scenario sconcertante della politica italiana, si è palesato nella sua capacità di essere un politico vero.

Non era il momento; è una crisi al buio in una situazione complessa per la pandemia; non è affidabile e così via, sono stati gli epiteti attribuiti a lui e al suo movimento, senza alcuna analisi politica e fingendo di non avere ascoltate le argomentazioni alla base della apertura della crisi di governo.

Ragioni Renzi ce ne ha fin troppe e di certo non si può bollare di superficialità o di approssimazione politica chi, proprio in questo momento, ha avuto il coraggio di mettere in risalto la mediocrità di questo esecutivo e dei suoi componenti e la assoluta confusione di idee e progetti.

La politica, quella vera per intenderci, quella che fa divenire statista un politico, è quella della capacità progettuale e della visione a lungo termine. Una visione che non lascia eredità gravose sulle future generazioni e non crea debiti   a dismisura per assicurarsi quel piccolissimo consenso temporaneo finalizzato all’ esclusiva necessità di sopravvivenza.

E così difronte ad uno scenario di politicanti, più che di politici, che dovrebbero risanare l’Italia e avere la capacità di utilizzare i fondi Europei per far uscire fuori dal baratro il nostro Paese, almeno una voce, forse anche alzatasi per fini personali, ha avuto il coraggio di dire a tutti: state attenti, dietro il loro affabulare non c’è niente. Non bisogna andare al voto per evitare la vittoria di Salvini e Meloni, ma allo stesso tempo non bisogna neanche scavalcare la democrazia e far finta che siamo in un eden dove sono tutti più capaci e migliori degli altri.

Una sanità abbandonata da decenni e che ancora vive in un degrado di strutture e di mancanza di risorse adeguate; una scuola che deve oggi , per garantire la presenza degli alunni, aprire finestre e porte stando al gelo anche per mancanza spesso di impianti di riscaldamento e che non ha, come la sanità, avuta alcuna risorsa per il suo adeguamento ai tempi e alla tecnologia; una macchina dello Stato obsoleta e farraginosa per non parlare della giustizia, degna di  paesi sottosviluppati, sono solo alcuni esempi della infinita mancanza di idee e progettualità della nostra classe politica degli ultimi 20 anni. E non si può dare la colpa ad uno o all’altro schieramento poiché tutti hanno amministrato e male.

La pandemia non ha fatto altro che scoperchiare il vaso dal quale sono uscite tutte le nefandezze fatte e tutte le lacune della nostra macchina politico-amministrativa. Sono entrato a 24 anni in una Università prestigiosa e ne sono uscito assistendo al suo declino. E questo è accaduto in tutti i settori, salvando forse solo quelli dell’alta tecnologia, determinando così un impoverimento di uomini e di qualità.

Ed ecco lo squallido scenario politico a cui siamo costretti ad assistere. Uomini buoni per ogni stagione, senza una identità di pensiero e senza una ideologia, capaci di governare con tutti senza alcuna considerazione delle posizioni e delle idee. Un mercato al ribasso in cui ognuno può entrare e tentare di ottenere un risultato migliore.

Non è vero che non si può votare e non è vero che non saremmo in grado di affrontare un percorso elettorale.  E’ vero invece che nessuno vuole rischiare la propria posizione che inevitabilmente potrebbe essere compromessa con il risultato elettorale. Nessuno vuole abbandonare, avendo coscienza di non poter essere rinnovato nel suo incarico, sia per la diminuzione complessiva del numero dei parlamentari, sia per la oramai chiara tendenza dell’elettorato a non dare più ascolto a chi dice delle cose e ne fa poi delle altre, molto diverse da quelle predicate. Nessuno vuole lasciare il piccolo spazio di potere che si è conquistato a chi forse oggi democraticamente ne avrebbe il diritto-dovere.

Ed ecco il Presidente del Consiglio, universitario, che con la sua diplomazia riesce  a  gestire tutti quelli che non vogliono confrontarsi con una inevitabile sconfitta elettorale e che rappresenta il riferimento buono per qualsiasi maggioranza. Indipendente, e per così dire super partes, non mette in ombra nessun partito, movimento o gruppo politico, quelli insomma che devono per forza appoggiarlo per non dover ritornare a casa.

Questo lo scenario che è stato messo in luce dalla crisi di governo e questa la nostra classe politica che dovrebbe riuscire a tirarci fuori, non solo dalla pandemia, dalla quale ne usciremo prima o poi non per merito loro, ma della ricerca scientifica che hanno sempre declassata ed osteggiata, ma dalla enorme crisi economica e soprattutto di costume e di valori.

Allora la domanda Renzi ha fatto bene? Ho una sola risposta: si ha fatto bene se è riuscito a  far comprendere il significato politico della crisi, quello che furbescamente ha usato, forse anche per suoi fini, ma che tutti dovremmo cogliere per capire dove stiamo andando e per colpa di chi.

Finiremo con l’assistere ancora una volta alla formazione di un governo con a capo l’uomo buono per tutte le stagioni e per tutte le ideologie, ammesso che esistano ancora, che guiderà un esercito di soldati che per la loro sopravvivenza si lasceranno gestire e finiremo con il vedere, l’elezione del nuovo Capo dello Stato e l’utilizzo dei fondi Europei, probabilmente con lo stesso metodo di sempre: la spartizione dei pani e dei pesci.

La democrazia che è la forma di governo esercitata dal popolo attraverso i suoi delegati, non deve trasformarsi in demagogia. Per Aristotele, la degenerazione della democrazia è proprio la demagogia, cioè l’affermazione di un “capo carismatico”, un soggetto che   utilizzando i sentimenti di una parte della popolazione, quella più numerosa e fragile, incline cioè alle promesse e attratta da discorsi di facile comprensione e fruibili per la loro scarsa articolazione, riesce ad ottenere consenso facile. Diviene dunque un soggetto politico che è sempre capace di promettere, ma spesso non riesce a mettere in pratica e mantenere le sue promesse e, molte altre volte, non è neanche in grado di cimentarsi nell’amministrazione della “polis”. Diceva J.P.Sartre che: “Un solo momento di distrazione è un momento di complicità” E noi vogliamo continuare a distrarci per essere complici?

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