Gino Finelli – Leggo da più parti che vi è un tentativo di far approvare una legge che consenta un terzo mandato ai sindaci dei comuni con numero di abitati inferiori a 1500 unità o a quelli di comunità montane ed isole.
E’ davvero impressionante come in questi ultimi anni la politica tenti di ritornare alle vecchie regole che essa stessa aveva decretate superate e sbagliate per un progetto di governabilità. Accanto infatti a questo ultimo tentativo vi è quello a livello nazionale di ritornare al proporzionale puro con una piccola soglia di sbarramento e dunque a ripristinare quel caos che si è generato nel passato e che continua a determinare una governabilità condizionata. In un paese che ha avuto infiniti governi, quasi uno all’anno, l’idea di ritornare ad un sistema di governo fatto di veti e ricatti è un progetto diabolico.
Lo è anche per l’eventuale terzo mandato dei sindaci, o addirittura per la soppressione del limite di mandati poiché, proprio nei piccoli Comuni, si ripristinerebbe quel sistema di clientele, favoritismi con la creazione di centri di potere che aumentano negli anni il consenso solo per la capacità di detenere un incarico, in modo così stabile, che al cittadino comune non rimane altro che adeguarsi e dare il suo consenso.
Il limite di due mandati, già a mio avviso esagerato, proprio per i piccoli comuni nei quali bisognerebbe invece prevedere un solo mandato, magari allungandolo di qualche anno, consente almeno una interruzione della gestione di quel potere che rende difficilmente scavalcabile chi lo possiede. La politica è da sempre costruita sul consenso ed esso è determinato all’inizio da un progetto, un programma, un’idea, ma con il tempo tutto viene disatteso e, in corso di mandato frequentemente per non dire sempre, ciò che lo ha determinato finisce con l’essere accantonato e molte volte dimenticato fino a verificarsi un sovvertimento dell’idea iniziale con conseguente negazione di quanto detto e promesso.
E allora non potendo rimediare con nuove affabulazioni si finisce con il fare concessioni, condoni, o altro per continuare ad ottenere, questa volta non per una idea o un programma, ma per semplice elargizione di favori, quel consenso che altrimenti, inevitabilmente si perderebbe.
In questi ultimi anni si sta assistendo ad un tentativo sempre più palese, attraverso leggi elettorali e intrighi di palazzo, di rendere la democrazia sempre più fragile. Persino il tentativo mal riuscito dl Movimento Cinque Stelle, è stato un chiaro fallimento e non per volontà del popolo che li aveva seguiti, ma per una scelta precisa del Movimento determinata dal potere e dalla necessità di continuare a gestirlo.
Dunque l’idea di ritornare alla politica di un tempo che consentiva di amministrare il potere, piccolo o grande che esso fosse, senza limiti di tempo e di mandato è una sciagura improponibile in un paese che ha subito una politica clientelare che è stata la base sulla quale si è sviluppata non solo la corruzione, ma il mal governo e quel divario tra sud e nord divenuto una delle ragioni della decrescita del Paese.
Semmai è tempo di stabilire regole condivise ferree, come i due mandati parlamentari, e l’impossibilità di poter transitare attraverso giochi e regole parlamentari, in altri gruppi politici finendola con quella falsa libertà che viene data al parlamentare che, in nome delle sue idee può tradire il mandato datogli dai suoi elettori e cambiare non solo schieramento politico, ma addirittura ideologia politica.
Sono anni difficili sia sotto l’aspetto economico che sociale, anni in cui il personalismo scavalca l’interesse collettivo creando aree disomogenee che aumentano costantemente il già ampio divario generazionale. Sono anni in cui il progetto del lavoro è una speranza, spesso una falsa illusione e in cui il welfare consente, ancora per poco, di compensare gli enormi buchi creati dalla mancanza di lavoro e prospettive.
Dunque invece di perdere tempo a ipotizzare modifiche a carattere protezionistico, i politici e gli amministratori ponessero la loro attenzione e spendessero il loro tempo a progettare percorsi di sviluppo e di crescita per un paese devastato proprio dal loro personalismo, spesso accoppiato ad una elevata incapacità.
La politica, quella vera, si pone obiettivi per il futuro e non per il presente, è in grado di determinare un percorso che sia capace di produrre sviluppo e benessere collettivo.
Mi piace terminare con una definizione: “la politica non indica l’esercizio di un potere qualsiasi sugli uomini, ma, già con Aristotele, solo quel tipo di potere che esercitandosi su uomini liberi e uguali si fonda sul loro consenso e ha per fine il bene non solo dei governanti, ma anche dei governati.”