Procida – È stato coniato un termine apposito per descrivere quello che è nato come un fenomeno di nicchia e che negli ultimi anni è diventato un trend strutturato: la corsa degli under 35 alla terra. Tra insoddisfazione generazionale, mancanza di opportunità lavorative e precarizzazione crescente, per molti giovani l’agricoltura è diventata uno stimolo, la via d’uscita a un contesto socio-economico tetro. Sono nati così i Millennial farmers.
L’Italia – come dice uno studio su the vision – è il primo Paese in Europa per numero di aziende agricole gestite da giovani sotto i trentacinque anni – se ne contano oltre 55mila, secondo i dati diffusi da Coldiretti. Tra il 2016 e il 2017 c’è stato un aumento del 6%, mentre sono 30mila i Millennials che nell’ultimo biennio hanno presentato domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea. L’offerta didattica italiana si è adeguata a questo scenario, nell’anno scolastico in corso i ragazzi che hanno scelto un percorso didattico superiore legato alla terra sono stati oltre 45mila, un vero e proprio record. Sono nati in giro per il Paese nuovi licei nel settore, mentre tra agraria e veterinaria l’Italia offre già 213 facoltà a livello nazionale.
Che ai giovani improvvisamente interessi la terra è una notizia, ma fanno ancora più notizia i fiumi di laureati in giurisprudenza, ingegneria, scienze politiche, psicologia che da un giorno all’altro mollano i rispettivi lavori, apprendistati, stage e colloqui, per comprare – spesso indebitandosi – un appezzamento di terra e riavvolgere il nastro della propria vita. Un all in coraggioso, una svolta improvvisa rispetto a un percorso professionale apparentemente più regolare e controllabile. Apparentemente, appunto.
Continuano a ripeterci che abbiamo davanti la prima generazione, almeno dopo molto tempo, a passarsela peggio della precedente. E hanno ragione. Non si tratta di bamboccioni, ma solo ragazzi disillusi che a trent’anni si trovano ancora costretti a vivere con i genitori: giornalisti, architetti, designer freelance che annaspano quotidianamente, svendendo il proprio lavoro a prezzi stracciati e rinunciando a ogni forma di protezione sociale, perché è questa l’unica via per portare a casa qualche soldo. Fattorini pagati a cottimo secondo quella gig economy che maschera dietro un inglesismo una nuova forma di sfruttamento.
Impiegati a cui vengono negati anche i più basilari bisogni fisiologici in favore di una catena produttiva che non può arrestarsi. Ma anche giovani consulenti finanziari chiusi per 16 ore al giorno dietro ampie vetrate ai piani più alti, attratti da stipendi che col tempo forse si gonfieranno e da una carriera che sperano ripagherà i loro sacrifici, ma nel frattempo consumati da stress, esaurimenti nervosi e attacchi di panico.
Ovviamente in questo scenario descritto molto bene da the vision, si innestano anche i giovani procidani. Da anni, quelle terre che fino a qualche anno fa erano ad appannaggio di papà e nonni e si preferiva fare altro, è divenuto un piccolo tesoro da sfruttare e valorizzare anche per figli e nipoti.
Ne parlava al passato anni fa un libro del kiodo quando definiva la classe procidana divisa tra Preti, contadini e marinai. I preti sono quasi scomparsi almeno nelle nuove vocazioni dopo la “covata” di Michele Ambrosino, i contadini lasciate le parule alla costruzione di parcheggi e case sono quasi scompari, rimanendo “vivi” di quel libro solo i marinai e marittimi che rappresentano ancora una eccellenza procidana.
Mollare tutto per prendere riprendere a gestire un muoio di terra non è la risposta ai mali di questo secolo, piuttosto è una forma di resilienza giovanile a un mercato del lavoro che ha sempre meno da offrire.
Di questo fenomeno e della resposnabilità di gestirlo anche sull’ isola ne ha parlato il Consigliere Antonio Carannante con delega all’agricoltura:
“Stamane abbiamo avviato il primo censimento dell’agricoltura a Procida. Abbiamo preparato dei questionari da sottoporre ai coltivatori diretti e imprenditori agricoli dell’isola. Con grande piacere sto scoprendo diversi giovani che si stanno affacciando a questo mondo: è un bel segnale che va sostenuto a dovere.
Per costruire la futura politica agricola, valorizzare i nostri prodotti e creare nuove opportunità per i giovani partiamo dunque da qui: dal nostro territorio, da chi ci lavora, dalla loro storia e anche dalle loro problematiche.
Contemporaneamente abbiamo incaricato uno studio scientifico sul limone di Procida per individuare la sua unicità e quindi programmare una sua degna collocazione sul mercato.
Invitiamo tutti coloro che sono interessati ad aderire a questo censimento.
L’economia verde è una parte essenziale del nostro futuro anche per creare nuove opportunità per i più giovani.”