Sebastiano Cultrera – È l’isola del Postino o l’isola di Arturo? L’isola di Graziella o la Cenerentola del Golfo?
L’isola delle bici o quella dei motorini in Paradiso?
Ogni definizione è una limitazione e quindi, di per sé insufficiente a descrivere un luogo. E nel caso dell’isola di Procida le definizioni si sprecano, proprio quando la comprensione della vera natura e della vera identità dell’isola rimane incerta.
Ci sono troppe interpretazioni di Procida, come se ci fossero tante Procida diverse. E forse è proprio così: ciascuno ha nella mente e nel cuore una sua idea di questa isola; idea che cambia col tempo, con la latitudine e con i legami costruiti. Come raccontava Vittorio PARASCANDOLA è, infatti diversa la “visione” di Procida, per esempio, da parte dei “villeggianti” (che hanno puntato a depredarne le risorse), rispetto a quella dei “turisti” (che oggi dobbiamo attrezzarci a considerare come veri e propri visitatori, considerando Procida, e soprattutto il suo centro storico, come un museo a cielo aperto), più rispettosi dell’identità isolana.
Ma ciascuna definizione contiene delle verità e dei pregiudizi. E tutte, naturalmente, compongono le tessere di un mosaico che, magari caoticamente, riesce a descrivere i caratteri isolani.
Procida è un’isola speciale. Era Capitale già da prima che formalmente le venisse attribuita questa qualifica. Che oggi detiene in base alla Cultura che accudisce nella propria Identità, ma quel “titolo” era suo come Capitale Marinara e, quindi, di interscambio (economico e umano, quindi culturale) già da secoli.
Sostenere, com’è giusto, che la chiave interpretativa della piccola isola di Procida sia il MARE che la circonda, ci fa, però, NAUFRAGARE nel MARE APERTO della banalità. Ma se aggiungiamo, subito dopo, che, nel nostro caso (come in pochissimi altri, al mondo), è LA PICCOLA ISOLA che racchiude IL MARE, e non viceversa, ci avviamo ad un percorso di comprensione della identità e dell’anima dell’isola.
Per prima venne Graziella. Non conta nulla se Lamartine sia stato o meno a Procida o addirittura abbia copiato (il dramma di Nisieda, di Charles Barrimore: come sosteneva il compianto amico Gianni Lubrano di Ricco), e si sia, forse, inventato tutto. Il fatto è che Procida è da anni, oramai, l’isola di Graziella, con tutto ciò che ne consegue: l’abito, l’elezione di una “miss” estiva vestita all’inverosimile (e non spogliata sempre di più, come accade negli altri concorsi) il mito della Bellezza, il mito dell’Amore. La vicenda di Procida, divenuta l’isola di Graziella è un mito che non appartiene più agli storici.
Ci perdoni, dunque, il prof. Mascilli Migliorini che ha contribuito, insieme ad altri (tra cui la storica procidana Raffaella Salvemini) a dare sostanza ad una bellissima trasmissione su RAIstoria su Procida. Ma dobbiamo credere che LAMARTINE sia stato e vissuto a Procida, visto che egli stesso ce lo ha raccontato così bene da farne un mito. Oppure dobbiamo credere che neanche la Befana e Babbo Natale esistano?
Poi, in clima postbellico si affermò la dimensione “anticonformista” dell’isola, piena di fascino e tollerante nei costumi. Un’isola vicina ma lontana, perché posizionata in una dimensione spazio-temporale inusuale. Nel secondo dopoguerra si presentava vuota di presente e piena di passato, ancora impresso nel corpo e nella mente dell’isola e dei suoi abitanti. E un gruppo di intellettuali, di artisti e di studiosi scelsero Procida come luogo prediletto, come isola di libertà: nella propria mente e nei propri costumi.
Seguivano gerarchi fascisti in disgrazia e “redenti” approdati verso nuove utopie politiche e sbarcarono e scoprirono Procida. Tra questi Brandi, Moravia, Pasolini, e tanti altri. In quel “giro” capitò ad una scrittrice di innamorarsi di Procida e di farsi ispirare: Elsa MORANTE. Ella le dedicò il suo capolavoro: l’isola di Arturo. Cogliendo, nel profondo, alcuni aspetti (anche quelli più spigolosi) del carattere dell’isola.
L’isola di Arturo è Procida, quindi, ma è soprattutto quel TUTTO che l’isola ricomprende: “quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto”.
Mario Ruoppolo, apprendista postino, con la sua bicicletta sale e scende per l’isola di Salina a portare le lettere. Ma più che a fare il portalettere apprende da Neruda che le metafore sono una robusta chiave della poesia. E quando appare potente la figura diffidente di Donna Rosa, che si erge a nemica delle sulfuree metafore, appare chiaro che piombiamo nell’identità culturale del popolo dell’isola di Procida.
La sua piazza Principale (che alla data dell’ambientazione del film era lu Spassiggio di Semmarè) e le immagini della Corricella riportano ogni idea di insularità a Procida: l’isola del Postino.
Così sarà della Cenerentola del Golfo (il che ribattezza, quindi, Ischia e Capri come Genoveffa e Anastasia), e cosi è dell’isola delle bici o del Paradiso coi motorini.
Procida è sempre qualcos’altro da sé, ma è sempre sé stessa.
Procida è Capitale da sempre, nella sua molteplice unità.
Cerchiamo di esserne all’altezza.