Procida – Simona, Miriana, Dora, Andreina e Loredana. Quattro le artiste isolane che hanno letteralmente incantato con le loro opere “Artisticamentenoi”, la rassegna andata in scena qualche giorno fa a Ischia, insieme contro ogni forma di violenza.
Il fil rouge che lega questi momenti – anche fuori dalla realtà locale – è rappresentato dall’associazione Marzo Donna Procida, sempre più punto di riferimento non solo per le donne ma per quanti si avvicinano all’universo femminile in ogni sua sfaccettatura: e tutto questo ha un nome e cognome: Cecilia Costagliola, la Presidente.
Le opere esposte hanno attirato l’attenzione dei tanti presenti al a Ischia e fatto riflettere. Una simbologia rappresentata anche dalla presenza sul palco di una valigia in segno della ripartenza, speranza, bagaglio di conoscenza e esperienza. In ricordo delle donne ucraine, della guerra, degli stupri in guerra. Oppure delle donne vittime della tratta (40 milioni di donne ancora ne sono vittime) in partenza con false promesse e poi ricattate e messe in vendita come merce.
In ricordo di Luana D’orazio vittima del lavoro perché non tutelata. E poi foto con il volto di donna.
Il guanto. Segno di autorità, simbolo di investitura feudale e di protezione, testimonianza per trasmissione di beni, pegno di fedeltà, il guanto diventa anche (per ragioni analoghe ma opposte) insulto e minaccia di morte se gettato contro qualcuno (guanto di sfida) I fiori, segno di rinascita, di luce e vita, di calore e bellezza. Di dolcezza e delicatezza. E poi le scarpe, rosse, contro la violenza sulle donne. Simbolo di migliaia di vite troncate.
Le artiste e i perché:
Simona Impagliazzo, con “Penombra”, racconta la distruzione fisica e mentale di una persona condannata a vivere sotto uno stress fisico e mentale, dove prevale la vergogna di chiedere aiuto e di uscire da questo tunnel.
“Indelebili tracce” – invece – rappresentano i vestiti di una ragazza che viene picchiata a morte, restano solo le tracce di questa orribile violenza, delle tracce indelebili che non si toglieranno mai, Anche quando la povera vittima non c’è più
Miriana Costagliola, con “Non me lo hai chiesto”, raffigura in medias res un atto di violenza su una donna. Precisamente, quando le strappano a sangue il reggiseno. Perché proprio il reggiseno? Il seno è ormai un segno se non uno dei primi segni di sessualizzazione del corpo femminile del ventunesimo secolo. E la violenza vuole compiersi nel modo più brutale, laddove il corpo lotta giorno dopo giorno per essere tolto dalla schiavitù della sessualizzazione.
In “Home made dynamite”, Miriana, vuole rappresentare l’atto in cui esplode una dinamite fatta in casa, che può essere lasciata a libera interpretazione: una dinamite che causa violenza, ma uno scoppio che vuol dire rinascita. Tutto sta negli occhi di chi guarda.
Con “CompletaMENTE”, Miriana – tratteggia due linee, l’uomo e la donna che viaggiano parallele senza mai incontrare i loro destini. Ma, l’uno contiene l’altro come dimostrano le macchie di colore in ogni cerchio. Infatti, l’uno, senza l’altra e viceversa non possono dichiararsi esseri completi in uno spazio mentale.
“La sensibilità è invisibile ad un colpo di pistola” il dipinto – dice Miriana – si chiama così per un gioco di parole e di forme. Si dice “la semplicità è invisibile agli occhi” qui invece la semplicità è invisibile sia agli occhi che guardano delle linee povere, elementari, bambinesche, sia ad un colpo di pistola, in quanto molte volte si fa orecchie di mercante a quanto accade alle povere donne che sono vittime quotidiane di violenza.
Andreina Siniscalchi, con “Oltre le sbarre” Nato nelle chiusure -rappresenta l’impedimento delle libertà personali. Nella chiusura ci si nutre di se stessi, della propria linfa. I segni ed i graffi alla persona diventano simboli di rinascita. Rinascita del colore sulla tela bianca.
“Sorrow”, invece – rappresenta il dolore atavico delle donne. Un dolore antico dalle origini ancestrali. La sofferenza universale che non conosce confini spazio-temporale
Loredana Bernardo – “I AM WHAT I AM” il lavoro è il ritratto di un’artista genderfluid e come il suo sentire, anche il suo volto si scompone e fluttua in tanti pixels che si mescolano al resto delle molecole che compongono l’universo. Ciò dovrebbe farci ricordare che siamo fatti tutti della stessa materia e restiamo una realtà così piccola nello spazio e nel tempo, ciechi nel nostro piccolo mondo oscurato da sentimenti negativi, quando in realtà siamo capaci di sentimenti in grado di generare vita. Se solo avessimo più stima di ciò che siamo.
Dora Kalinova con “Paura” e “Senza voce” vuole far comprendere come “l’arte non è solo bellezza, ma anche e soprattutto denuncia e voce per chi voce non ha. Vorrei comunicare la condizione anche psicologica delle donne, sottolineando la violenza ai cui molte donne sono costrette a sottostare, facendo riflettere sulla violenza fisica e verbale che caratterizza la vita di moltissime donne.
Le donne nei miei dipinti sono immobili con lo sguardo fisso, i loro occhi trasmettono la loro sofferenza e la necessità di essere aiutati. Le loro bocche sono sigillate con nastri adesivi, rappresentando in questo modo che loro non hanno la voce, gli viene tolto il diritto ciò che li ha dato la natura: la cosa più bella di essere semplicemente donna”