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La memoria: tesoro e custode di tutte le cose. Omaggio a Vincenzo Cacciuttolo

DiRedazione Procida

Mag 25, 2022

Gea Finelli – Oggi ho deciso di perdere il mio sguardo nella distesa infinita di mare che ho davanti a me. Non avevo molto altro da poter fare per annegare il dolore. Mi appariva l’antidoto migliore. È incredibile come quello specchio d’acqua tanto caro al mio cuore, oggi brilli in superfice di schegge di sole, che, come tanti brillanti, fanno luccicare la superficie dell’acqua, sospinti dal vento.

Mi siedo sul bagnasciuga, e aspetto, non so nemmeno io cosa. Forse che il dolore mi passi o che il mare di Procida, come la memoria, mi restituisca qualcosa: brandelli di ricordi che agiscano da balsamo per il cuore. Passa soltanto qualche minuto e, come per incanto, giungono a riva, quasi fino a me, degli oggetti semplici: una conchiglia, una pietra pomice, un legnetto, una spugna marina, un cespuglio di alghe profumate di salsedine che, come indizi, mi consentono di riavvolgere nella mia mente il nastro dei ricordi: un evento, un momento, una ricorrenza, un istante di pura gioia trascorso su quest’Isola a fare, a creare, a ridere, ad inventare, a sognare, insieme ad un amico del cuore, una pietra miliare nella mia storia personale e familiare e nella storia di quest’Isola, che oggi non c’è più: Vincenzo Cacciuttolo.

Un antico proverbio ebraico dice: “Sono morti davvero solo coloro che sono stati dimenticati”.

Sono convinta che ciò non avverrà, o almeno io mi impegnerò affinché ciò non accada per Vincenzo: medico psichiatra attento e competente, conoscitore profondo delle dinamiche umane e delle fragilità dell’animo; regista teatrale, musicista, compositore, autore di commedie e spettacoli, artista eclettico, dotato di un talento naturale e raro per la musica e per qualsiasi forma di rappresentazione artistica, oltre che “artigiano” impegnato a servizio delle tradizioni secolari della sua Isola nelle occasioni speciali; come la Processione del Venerdì Santo, alla quale non mancava mai, a costo di farsi trasportare nel lungo percorso dei carri, dalla Terra Murata alla Marina Grande, su una sedia, pur di esserci.  Vincenzo è stato e resterà un punto di riferimento per i giovani dell’Isola che volevano intraprendere un percorso artistico, come i ragazzi dell’“Isola dei Misteri”, un’associazione artistica che ha collaborato negli anni con lui alla realizzazione di scenografie, sculture artigianali ed eventi teatrali. Li prendeva per mano e li orientava sul piano umano e nello spettacolo, quasi come un padre premuroso, oltre che come un regista in grado di canalizzare e valorizzare i talenti, tanti, che la sua piccola e adorata terra circondata dal mare ha sempre generato.

Amava intimamente e instancabilmente il teatro, che in uno dei suoi ultimi post su facebook definiva: “luogo polimorfo dove realtà e fantasia si fondono mirabilmente, dove le emozioni reali sono manifeste e quelle finte nascoste con cura, dove la vita rappresenta se stessa in tutte le sue sfaccettature più reali”. Forse per Vincenzo era un rifugio il teatro, come per tutti coloro che hanno nascosto in qualche “tasca” la loro infanzia, per poter ogni tanto continuare a giocare. E forse, quella incredibile dote di pianista che gli consentiva di sfiorare la tastiera e riprodurre, quasi come un jukebox, qualsivoglia melodia: dal jazz, alla bossa nova, al rock, al folk, alla classica, era frutto di un estro creativo davvero geniale, che tralasciava le strade troppo battute, per cercare incessantemente regioni ancora inesplorate. Vincenzo aveva saputo conservare l’infanzia senza essere infantile. Anzi. Forse proprio quel suo mestiere di medico, a contatto con le fragilità e gli abissi più oscuri dell’animo umano, gli aveva consentito una conoscenza matura, solida e per certi versi cruda del reale, nel quale sapeva penetrare ponderando i suoi interventi con un’accuratezza e una razionalità scientifica. Ma poi, scoperto il limite di tutte le cose e la finitezza dell’uomo aveva, a differenza di molti, saputo valicare quel limite con la forza dell’immaginazione, con l’arte che era la sua cura e il suo coraggio, il suo balsamo contro le ferite, il carburante per fronteggiare le ostilità del destino.

Dagli artisti ai pazienti, dagli amici alla sua famiglia cui era legatissimo, Vincenzo aveva una capacità di amare senza risparmio, una capacità insolita, commovente, di regalarsi all’amore. Aveva accolto anche la sua malattia con saggezza ed equilibrio, rimanendo fedele alle sue passioni e ai suoi valori, continuando a sperare senza mai perdersi, allontanandosi solo nell’ultima fase dal mondo, per poi ritrovarsene più innamorato e ogni giorno più arricchito. 

Se i gesti, le parole, l’esempio di qualcuno che se ne è andato, continuerà ad accompagnarci nei giorni di pioggia e di sole della vita, allora quella persona sarà viva, dentro ciascuno di noi. Vorrà dire che la sua essenza, che non ha niente a che vedere con l’apparenza, avrà lasciato un’impronta vivida, come una macchia d’inchiostro su un foglio bianco che resiste al tempo, impossibile da cancellare.

D’altra parte Vincenzo era un’artista nell’animo e non esiste artista che non creda nell’eternità, che non voglia lasciare una traccia del suo passaggio fugace in questo mondo troppo concreto persino per essere reale. E le tracce oggi Vincenzo le lascia con i suoi scritti, le sue canzoni, le sue commedie, le parole scritte e donate come un balsamo a tutti coloro che gli chiedevano aiuto in termini professionali o umani. Sapeva resistere alle bufere della vita come un navigante esperto che non smarrisce la rotta. La sua arte era il concavo che rispondeva al convesso della vita. Abitava il dolore vivendolo in modo davvero incredibile, in pienezza, interpretandolo quasi come una possibilità, più che come una semplice privazione e forse era proprio riuscendo a riempire questo vuoto malinconico dell’animo, attraverso il suo ottimismo e la fiducia nel futuro, che riusciva a far comprendere a tutti coloro che lo frequentavano che esiste in ognuno di noi una zona d’ombra, una parte mancante di cui non bisogna aver paura.

Vincenzo aveva capito ciò che la maggior parte degli uomini dice di sapere, ma non mette in pratica. Che c’è solo un modo per dare senso alla propria vita, per sublimare il dolore e accogliere e curare le bellissime fragilità dell’uomo per salvarle dalla morte: l’amore.

Ora torno a guardare l’orizzonte e prego che proprio la memoria, come il mare, mi restituisca negli anni quando mi occorrerà, i valori che ho appreso da Vincenzo. La memoria. Che diventi, come diceva Cicerone, tesoro e custode di tutte le cose, soprattutto quelle preziose, come quelle che Vincenzo ha lasciato in eredità a me e alla sua Isola.

 

L’ISOLA

L’isola è donna, femmina, madre.

L’isola è sogno, sofferto di notte,

cercato di giorno, ambito, sfuggente,

sempre inseguito, ma mai conquistato.

L’isola è donna, altera, pudica,

che pone i suoi veti all’ardore cocente.

Che saggia si siede e dirime questioni

Non solo di testa, ma pure col cuore.

L’isola è femmina, che scioglie i capelli,

all’ardore cocente replica con ardore,

Che ama, appassionata, e non devi chiedere niente

Perché tutta si dà, tutta quanta si dona.

L’isola è madre che trattiene il ricordo;

vestale lo officia, in sacra liturgia.

Che ama, che spera, che attende il ritorno,

certezza di vita, certezza d’amore.

L’isola è bella, ridente, giuliva,

di mille colori vestita, brillante,

di mille perle di gocce di mare

di danze nel cielo e garriti di gabbiani.

L’isola è vipera, che quando ti ha punto

Ferale veleno ti ammalia, ti strega,

e soffri, ne muori, soltanto al pensare

di mettere piede oltre lo scoglio.

L’isola è rabbia, impotente furore,

verso un destino crudele, beffardo

Che come il mare ti dà poi riprende

Di mille lame assapori il taglio

L’isola è fonte di lacrime amare,

a fiumi versate se perdi un amore,

donate a un ricordo, un rimpianto,

smarrite, perdute e mai più ritrovate.

L’isola è senso di malinconia,

albergo dismesso di un dolce ricordo,

saudade, tristezza, tedio, nostalgia,

senso indefinito di non ritorno.

L’isola è partenza o rimpatrio,

minuti contati prima di andar via

minuti contati prima del ritorno,

ma sempre vissuti nell’ansia…

L’isola è amore, è gioia, è rimpianto,

speranza, sollievo, malvagio destino,

È tante cose, e tante ne è ancora.

L’isola è un’isola, come ogni persona.

Vincenzo Cacciuttolo

 

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