Repubblica – DUE opposte albe italiane si sono incrociate, ieri mattina poco dopo le cinque, sulla statale Sassari-Porto Torres: quella di un gruppo di operai dell’ Enichem che andavano al lavoro, quella di tre giovani ubriachi che rientravano dalla discoteca. Gli operai erano scesi dal loro pullman per prestare soccorso a una macchina in difficoltà, un elementare gesto di solidarietà che aggiunge pena e rabbia al terribile esito della scena. La Fiat dei ragazzi ciechi, sbucata dal buio a velocità demente, li ha falciati, ferendone trenta, ammazzandone sei.
LA STRAGE descrive, con una precisione così didascalica da apparire quasi inverosimile, la morte degli utili per mano degli inutili, dei laboriosi per mano degli sfaccendati. Si immagina la sveglia antelucana, in case semplici di quartieri modesti, dei padri di famiglia (il più giovane delle vittime aveva 34 anni, il più anziano 61) che vanno, come si dice ancora oggi in epoca di companatico, a guadagnarsi il pane. L’ odore del caffè, la prima sigaretta, due chiacchiere con i colleghi, l’ esordio di un’ altra giornata di lavoro. Una normalità necessariamente virtuosa – necessità della fatica, virtù di chi sa sopportarla – che va a disfarsi contro il rientro forsennato di una di quelle auto nottambule, stravolte di stanchezza, che ognuno di noi, a tarda notte, si è visto sfrecciare accanto. Limoni spremuti. Si può morire schiacciati da un limone spremuto? I tre occupanti del proiettile sono stati estratti dalle lamiere inebetiti, incapaci di rendersi conto. Pieni di alcol. Il guidatore è stato arrestato. Qualcosa – dentro la nostra stanchezza di spettatori impotenti, che si somma alla stanchezza delle vittime già in strada nonostante l’ ora, e allo sfinimento degli involontari carnefici ancora in strada nonostante l’ ora – ci spinge a non accontentarci di una sentenza ovvia. Ovvia come l’ ira che si prova di fronte a una colpa così imperdonabile. Questo qualcosa può essere, per chi ci crede, la pietà che merita quel miserevole guidatore, stragista preterintenzionale. Oppure può essere la più generale misericordia che suscita, ormai, la scontatissima, risaputa, noiosa frenesia di intere legioni di giovani uomini che affrontano la notte, e la strada, come un allucinato e sparso convoglio di coscritti del divertimento. Smontavano dal loro turno di notte, dopo tutto, anche i tre investitori, immaginabilmente uguali per usi e consumi a migliaia e migliaia di loro coetanei che nelle albe festive sfidano la noia in un duello all’ ultimo bicchiere, all’ ultima pasticca, all’ ultima accelerata. Nelle stragi dette ‘del sabato sera’ , in fin dei conti, l’ elemento più desolante è proprio il sabato sera, l’ identità di quelle morti uguali, prevedibili per modi e tempi, con le ambulanze e le astanterie allertate come durante gli esodi e i rientri di massa.
Fa specie quel tempo libero (tempo libero: mai definizione fu più paradossale) ridotto a ripetizione fedele di orari quasi precisi come quelli delle fabbriche, tutti fuori verso la mezzanotte, tutti dentro verso l’ alba, la trasgressione che diventa conformismo, l’ irrequietezza che diventa una docile febbre autolesionista, il desiderio che va a ingolfarsi nei soliti locali, solite automobili turbo, solite strade impastate di nebbia e sonno. Tanto è vero che ognuno, oramai, quando si trova a guidare nelle ore antelucane, alle soglie delle feste o dei weekend, tiene accesa una spia supplementare, quella dell’ allarme da chiusura delle discoteche. Un’ autobomba che sbuca da una curva, scemo attentato senza movente e senza rivendicazioni possibili, è in ogni istante della nostra vita una remota possibilità, ma certe notti è una preoccupante probabilità. Gente che va a faticare, gente che torna da un “divertimento” perfino più faticoso, e spesso più frustrante del più monotono dei lavori. Un’ alba sarda ha fatto incrociare questi due destini, il primo, quello degli operai, infelice ma dignitoso, il secondo, quello dei giovani ubriachi, infelice e nemmeno dignitoso.
Potranno farci rabbia finché vogliamo: qualcosa cambierà solo quando si faranno rabbia da soli.