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Procida 2022, Insula Corporea: un viaggio nella danza evocativa degli anni 60

DiRedazione Procida

Ott 18, 2022

Procida – “Il lavoro che ho svolto a Procida con ‘Insula Corporea’ – disse in sede di presentazione Gabriella Stazio – ha per me insito il senso della danza antropologica: nella stessa persona convivono creazione, interpretazione e l’essere spettatore”.

E il lavoro presentato nello scorso weekend nella ex chiesa di San Giacomo, ha ripercorso in toto quando ebbe a dire la coreografa.

“Insula corporea” ha restituito la pubblico presente l’evocazione di quello che negli anni 60 un gruppo di artisti, coreografi, danzatori, coreografi e compositori facevano nella Judson Memorial Church al Greenwich Village di New York.

Inserito nell’ampio programma di Procida 2022, il progetto è stato immaginato per promuovere il dialogo intergenerazionale e interculturale e favorire l’inclusione sociale, creando nuove reti e connessioni, diffondendo sensibilità differenti ed incoraggiando lo sviluppo personale, come ebbe a sottolineare il direttore artistico Agostino Riitano.

Il pubblico accorso nelle due serate ha assistito a vere azioni creative che si sono basate su una struttura coreografica e su una parte di improvvisazione.

A danzare non sono state solo Sonia Di Gennaro, storica danzatrice della Compagnia Movimento Danza, Francesca Gifuni, e il Performing Arts Group – Compagnia Giovani Movimento Danza con  Alessia Esposito, Federico Contella, Giorgia Menichini, Martina Nappi, Isabel Ouattar, ma anche e soprattutto giovanissime ballerine isolane che si sono cimentate nelle varie performance.

Ma non solo. A danzare è stato anche il pubblico presente coinvolto dai movimenti e dai suoni di Francesco Casagrande.

Tra il pubblico molto attento ed interessato anche l’avv. Porfilio Lubrano Lavadera:

“ Che dire, un commento, oppure chissà foss’anche già solo per una sorta di bozza da “elaborato peritale”, la disquisizione non sarebbe comunque mai potuta appartenere all’ambito dello stereotipo, del preconcetto – o più semplicemente –  del rientrante in impostazioni tradizionali/tipici da modelli imitabili, anche se difficili da emulare, susseguendosi di suoni, di movimenti, di posture e finanche di mimiche talmente belle, armoniche e profonde, da rischiare di dare adito addirittura al paradosso del vago “ sospetto “ di sofisticate simulazioni per storicizzazioni a ripetersi come meri corsi e ricorsi storici, in quanto tali senza alcun quid novi, con o senza contestualizzazioni particolari e caratterizzanti, quindi; pertanto la rappresentazione pur essendo parecchio complessa ( fino ad involgere lo sceverare i profili più reconditi di società consumistiche, con progressivo decadimento degli ideali e dei valori umani, ivi compreso quindi pure l’altro “ rischio “ della confusione, del caos troppo difficile da “ ordinare “  ) è riuscita ad affermarsi egregiamente, in modo puntuale ed omnicomprensivo: dunque un doveroso plauso e  complimento a chi è riuscito in tale obiettivo, come nell’evento de quo, con la danza a funzione sociale” .

“Occorreva quindi – e c’è stata, in concreto – quella differenza edificante ed integrante la originalità e, talmente tanta,  da attirare il senso della attenzione oltre anche la sorpresa della “improvvisazione”, svincolandosi dal c.d. “ copione” pure per tale verso, pervenendo persino ad ingenerare confronti da dubbi costruttivi da multiverso e da metaverso ( la genuina “ ribellione identitaria “, in quanto tale si legittima sin già per riconosciuto spirito comunitario di appartenenza condiviso e condivisibile, per virtualità come per realtà comunque collegate ), certo è altresì che per la modernità si può ben essere concordi nel ritenerla risiedere/sussistere non soltanto nella tecnologia e/o nella scienza ma anche in diversi gradi di consapevolezze delle persone-microcosmi, espressive di stati di animo multiformi, mutevoli, altalenanti e variegati; pertanto tale “ postura interiore “ può ben legittimarsi da assunto di base per la profondità da flessibilità ermeneutica indotta fra attore e spettatore, fra osservatore ed osservato in tale evento, nell’intenso grado di coinvolgimento che ne è scaturito fra i presenti”.

D ’altro canto la genìa ermeneutica più risalente della evocazione della New York degli anni 60 ( “Judson Memorial Church al Greenwich Village” ) ne rappresenta la riprova probatoria della connotazione da assorbenza di tale evento, in considerazione di altro parallelo da pari dignità fra enormi realtà territoriali continentali e molto diverse e più piccole realtà insulari ( al cospetto  appunto della c.d. “ grande mela “ ,  territorialmente – chiaramente – infinitamente più piccole ), ma comunque unite grazie al materiale senso di sentirsi parte dello spirito d’assieme, pure quindi attraverso la danza, di dinamiche cosmopolite ( senza dispersioni inutili e dannose)  che in quanto tali, cementano le forze di coesione diversamente esistenti, riconoscendosi in tale universalità da valori di libertà, di uguaglianza e di umanità cosi ampiamente considerati e considerabili per il crescendo aggregativo che implicano”.

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