Roberto Boni – Da un paio di anni l’Archivio di Stato napoletano ospita il mastodontico archivio privato della famiglia d’Avalos, per conto della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Campania. Di questo archivio privato si conosceva sino ad ora solo un inventario notarile, stilato nel 1862-68 e pubblicato nel 2012.
Da un preliminare studio delle preziose e inedite carte da parte degli archivisti è emersa, tra le tante, una pergamena dell’inizio del XVI secolo, di recente esposta in una mostra, che ha disorientato gli storici dell’isola di Procida. Da essa, o almeno dal suo retro mostrato al pubblico, si apprende di una donazione avvenuta nel 1504, da parte di Ferdinando Re d’Aragona e di Elisabetta Regina, a Rodrigo Davalos, per i gran servizi prestiti alla Corona da Don Innico Davalos, dell’Isola di Procida et il Casale di S. Antimo, sottratti a causa di ribellione a Michele Cossa e Bernardo Standardo. Secondo la storia ufficiale, invece, il feudo di Procida, sottratto al traditore Michele Cossa, fu concesso da Carlo V ad Alfonso III d’Avalos solo nel 1529; peraltro anche questa ben più nota donazione sarebbe documentata in una analoga pergamena dell’archivio privato d’Avalos.
Alcuni articoli usciti la scorsa estate su Corriere del Mezzogiorno e Procida Oggi danno spiegazioni, a mio avviso, affrettate e poco esaurienti, parlando di fake news storiche e di misteri; in particolare ritengo che i suddetti giornali abbiano frainteso i membri della famiglia d’Avalos citati nel documento. Per uscire dall’equivoco cominciamo con l’esaminare i vari personaggi della pergamena.
Los Reyes Catòlicos, cioè Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, avevano appena strappato il Regno di Napoli ai Francesi, grazie al Gran Capitano Consalvo di Cordova, che entrò in Napoli il 16 maggio 1503, dando inizio ai due secoli di Viceregno spagnolo.
Il Don Innico della pergamena non è, a mio avviso, Innico I, il capostipite del ramo italiano dei d’Avalos e Gran Camerlengo del Regno aragonese di Napoli, morto venti anni prima, bensì il suo terzo figlio maschio Innico II d’Avalos d’Aquino che, dopo la caduta degli Aragonesi di Napoli nel 1501, passò al servizio del re Cattolico e morì, combattendo agli ordini del Gran Capitano, nel 1503.
Anche il Rodrigo, destinatario della donazione del 1504, non può essere il secondo figlio maschio di Innico I, dal momento che Rodrigo d’Avalos d’Aquino morì in battaglia nel 1496. A mio avviso si tratta invece di Rodrigo I del ramo cadetto di Ceppaloni, figlio del fratello di Innico I, Alfonso I. Egli nel 1504 si trovò ad essere il maschio più anziano della famiglia, essendo morti in guerra tutti i cugini ed essendo ancora adolescente Ferrante, marchese di Pescara. In seguito Rodrigo, per aver combattuto valorosamente a fianco dei nipoti a Pavia nel 1525, fu premiato da Carlo V nel 1529 col feudo di Ceppaloni. Ulteriore prova a favore di un membro di un ramo cadetto della famiglia potrebbe essere la non casuale assenza del Don davanti al suo nome.
Michele Cossa (VI Signore di Procida e quindi nonno dell’omonimo ribelle, VIII Signore di Procida, che fu privato del feudo nel 1529) e Bernardo Boffa Stendardo appartenevano a famiglie notoriamente filo-francesi e, avendo parteggiato per Luigi XII di Valois nella recente guerra franco-spagnola, furono puniti con la concessione dei loro feudi ad altro feudatario.
Ma, in mancanza di testimonianze storiche su questo subentro dei d’Avalos sin dal 1504, è presumibile che i feudi in questione siano rimasti tranquillamente in mano ai precedenti titolari. Per spiegarcelo azzardiamo alcune riflessioni:
- per resistere ai tentativi di accentramento del potere da parte del re (o vicerè), esisteva all’epoca una sorta di solidarietà tra le famiglie nobili, prova ne sia la cessione compensativa ai “rivali” Cossa dei feudi d’Avalos di Vairano e Presenzano e della stessa Ceppaloni;
- sappiamo con certezza che anche il casale di S. Antimo, citato con Procida nella pergamena, rimase stabilmente degli Stendardo, addirittura fino al 1566, e non passò mai ai d’Avalos;
- la carismatica Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla, che godeva della stima incondizionata del re Cattolico e del Gran Capitano, aveva stabilito ad Ischia la sua residenza e il suo celebre cenacolo culturale e probabilmente aspirava al prestigioso feudo di Procida, da lasciare ai suoi amati nipoti del ramo principale della famiglia (i futuri condottieri Ferrante e Alfonso III); il cugino cadetto Rodrigo, trovatosi di fronte a una sorta di veto, non poteva far altro che aspettare il suo turno, infatti dopo alcuni anni fu ricompensato con Ceppaloni;
- il neonato Viceregno non aveva ancora messo a punto la politica di ridistribuzione dei feudi: il primo vicerè (1504-7) fu proprio il probabile incauto sponsor di Rodrigo I, Consalvo di Cordova, spesso assente da Napoli e ben presto accusato di corruzione; sappiamo anche che Ferdinando il Cattolico, che visitò Napoli solo nel 1506-7, governò con poche concessioni alla nobiltà; inoltre la morte di Isabella, protettrice e amante del Gran Capitano, avvenuta pochi mesi dopo la stesura della pergamena, rinfocolò la ruggine tra i due e il povero Rodrigo, a questo punto malvisto sia dal re di Spagna che dalla capofamiglia dei d’Avalos, forse ne fece le spese;
- i nuovi padroni di Napoli potrebbero aver magnanimamente perdonato i “felloni”, una sorta di grazia di cui però non abbiamo per ora documentazione.
In attesa di ulteriori approfondimenti da parte degli studiosi, mi auguro che questo tentativo di ricostruzione dei fatti possa contribuire a diradare il “mistero della pergamena d’Avalos”.