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Empatia: il caso di una virtù scambiata per abilità

DiRedazione Procida

Nov 23, 2022

Eliana De Sanctis  – Negli ultimi anni si assiste a un particolare e interessante fenomeno sociale quale l’introduzione, nel linguaggio corrente, di espressioni tipiche del lessico psicologico con l’auspicio di poter scongiurare dinamiche abusanti e ripensare le strategie d’educazione. Le ottime intenzioni, però, non sono sufficienti a evitare l’inevitabile, ossia che l’appropriazione indebita di un linguaggio specialistico genera l’illusione del “tutti siamo psicologi”, secondo il noto effetto Dunning-Kruger che fa credere di essere esperti in un settore solo perché ne si conoscono le linee generali. Un risvolto molto più pericoloso di quanto si immagini: ignorare il reale campo semantico di una parola può generarne l’abuso e, di conseguenza, la pretesa di saperla dominare; una parola, dopotutto, non è mai solo una parola, ma rimanda a interi universi di esseri reali verso i quali deteniamo delicate responsabilità.

  Un caso topico è l’abuso del termine empatia: ai nostri tempi non c’è persona che non ne abbia mai sentito almeno una volta parlare, anche se accidentalmente o di sfuggita. Sdoganata dalla psicologia e presentata come la più alta facoltà emotiva dell’uomo, l’empatia è stata suo malgrado declassata da virtù a abilità con la conseguente convinzione che può essere imparata.

   Sarebbe di buon senso a questo punto chiedersi: è stata effettivamente imboccata la giusta direzione? Equiparare quella che dovrebbe essere una predisposizione dell’animo a una capacità acquistabile non corrisponderebbe alla distruzione stessa dell’empatia e del sacro progetto di “sensibilizzazione” dei popoli?

  Il concetto di empatia nasce in Germania nel XIX secolo ad opera di uno studioso di arti figurative di nome Robert Vischer, che la pensa come facoltà innata di cogliere immediatamente l’anima delle cose. In uno sviluppo successivo, il filosofo e psicologo Theodor Lipps la trasforma in facoltà innata di conoscenza. L’empatia si avvicina così lentamente alla forma che conosciamo oggi, e che dobbiamo alla filosofa Edith Stein: facoltà innata di comprendere in modo non verbale ed immediato lo stato emotivo di un altro essere umano.

In nessuna delle sue fasi di sviluppo l’empatia è stata presentata come abilità, ma come componente stessa della struttura spirituale dell’uomo, attribuendole tratti che, per usare un termine antico, la fanno assomigliare a una virtù. La virtù, come insegnava già il filosofo greco Aristotele, è una caratteristica innata, una sorta di dono che non si può apprendere come lo si farebbe con un’abilità tecnica.

E se l’empatia è un tratto connaturato dell’emotività, perché mai dovrebbe essere acquistata come lo si farebbe con qualcosa che non si ha?

Non sarà certamente questa l’intenzione di quella scuola di pensiero che “vende” l’empatia come una pratica da acquisire, fornendone quasi un “corso di apprendimento” come avviene con la formazione ad un mestiere. Eppure, disgraziatamente è ciò che accade, con il risultato che in molti credono di poter “entrare nel ruolo dell’empatico” semplicemente acquisendo determinate posture o utilizzando espressioni e linguaggi particolari. Ne vien fuori una gigantesca caricatura per di più infruttuosa: l’altro rimane uno sconosciuto. Non ne vengono comprese le ferite, i desideri e i bisogni, col rischio di adottare una strategia comportamentale che più che aiutarlo lo lede definitivamente.

Più che di acquisizione si dovrebbe iniziare a parlare di educazione all’empatia: partendo dal presupposto che essa è presente per natura in tutti gli uomini, andrebbe semplicemente stimolata e curata. Un considerevole aiuto potrebbe derivare dalla rivalutazione del mondo umanistico e del suo grande potenziale: limare e affinare l’anima per renderla in grado di sentire di più.

Se è vera la leggenda che solo il dolore patito può rendere l’uomo profondo, è altrettanto notevole il contributo che l’arte, la letteratura, la filosofia, la storia possono dare alla sua sensibilità. Se viste come materie vive e non come contenuti nozionistici e polverosi, potranno offrire nuovi occhi con cui guardare la bellezza, nuovi modi con cui sentire la potenza dei sentimenti e comprendere la complessità del pensiero e del mondo. E tanto più diventa chiara la coscienza che la realtà è varia e stratificata, tanto più queste consapevolezze diventano mature e sedimentate, tanto più un individuo potrà essere all’altezza di comprenderne un altro.  

 

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