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ALLE RADICI DELL’ANTISEMITISMO. LA COLPA DEL POPOLO CHE UCCISE DIO

DiRedazione Procida

Gen 27, 2023

Eliana De Sanctis – È in onore del martirio patito dagli ebrei nei campi nazifascisti che ogni anno le istituzioni ricordano la Shoah, pensata come uno spartiacque della Storia, una linea invalicabile che separa uno spazio sano da un mondo ferito. Da qui il via al lungo sciorinare sul senso della fede e di Dio, sulla banalità del male (l’eloquente commento che Hannah Arendt diede alla macchinazione nazista) e soprattutto su quanto l’uomo di oggi abbia imparato dall’uomo di ieri.

    La narrazione ufficiale della Giornata della Memoria condanna la disumanità del genocidio nazista come fatto storico eccezionale, germogliato dai semi di un odio inspiegabile. In pochi forse si soffermano a indagare quell’odio, spesso giustificato all’interno del medesimo quadro storico dell’ascesa hitleriana e della Guerra Mondiale, ma che affonda le sue radici in un tempo antico in cui la storia, la mitologia e la fede si fondevano al punto da risultare irriconoscibili.

   Già prima del nefasto olocausto del XX secolo il popolo ebraico era stato odiato: il testo che per eccellenza ne narra il racconto, la Bibbia, testimonia di una civiltà spesso perseguitata, vittima di dominazioni straniere che ne avevano distrutto le città, violentato la lingua, depauperato la cultura.

  Ma sembrerebbe il caso di paragonare la spietata barbarie dei campi di sterminio con l’eterna diaspora ebraica, o la crudeltà inferta da una “razza” che si riteneva ontologicamente superiore con la sottomissione politica imposta dai popoli mesopotamici? Naturalmente no, eppure il confronto aiuta a mettere in evidenza una questione essenziale: l’odio antisemitico non è sorto all’improvviso.

  La seducente propaganda nazista non generò bensì risvegliò un risentimento arcaico, saldamente radicato nella psicologia comune ed eretto su un evento storico e teologico fondante: l’uccisione di Gesù a Gerusalemme.

   Come raccontano i Vangeli, furono gli ebrei a condannarlo preferendogli Barabba, e la «morte di Dio» costituì una loro responsabilità incancellabile agli occhi di un Occidente che diventava di secolo in secolo più cristiano.

   Per il cittadino occidentale di oggi, laico o religioso, è forse irrilevante porre a se stesso la questione del movente universale, ossia la ragione generalizzata e recondita che ha reso il massacro nazista un fatto storico possibile e, soprattutto, semplicissimo. Le sue disquisizioni si fermano all’incoerenza razionale e dialettica di un Dio buono che permette il male, giudicata a partire dalla Shoah per terminare con essa. Come se questa rappresentasse l’unico ed effettivo scandalo della storia che invece, presa nella sua interezza, è dilaniata da soprusi e distruzioni.

  Per quanto se ne possa dire libera, l’angolatura attraverso cui l’uomo contemporaneo guarda il mondo è influenzata dal cristianesimo, che ha dato i natali al sistema valoriale in cui siamo immersi oggi.

   È il cristianesimo la religione degli Stati “evoluti”, sono cristiani i valori delle monarchie illuminate, delle società democratiche e costituzionali. In una realtà così profilata risulta estremamente semplice dissotterrare il risentimento antico verso il popolo che ne aveva ucciso il Dio (alterando completamente la verità teologica per cui è Cristo che si consegna ai suoi assassini), e diventa altrettanto facile utilizzarlo come strumento di propaganda per realizzare le velleità del potere politico.

  Precedenti alla crudeltà spietata ed estrema della Shoah, altri episodi testimoniano la celata insofferenza dell’Europa verso l’ebraismo, tant’è che il termine antisemitismo fu coniato già nel XIX secolo per definire le ideologie politiche che lo avversavano. Si può ancora citare il Decreto dell’Alhambra del 1492 con cui i sovrani Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona espulsero gli ebrei dalle comunità spagnole privandoli di tutti i loro possedimenti.  E, andando più a ritroso nel tempo, si può ricordare come nel Medioevo gli ebrei vivessero isolati dalla società in delle zone adibite chiamate ghetti.

  Se la persecuzione nazista costituisce la più grave sopraffazione che il popolo ebraico abbia patito, non è di certo l’unica. Cerchiare la disgrazia del popolo di Jahwe allo sterminio del ‘900 finirebbe con il fornire una visione parziale del problema e dello stesso concetto di Shoah. Questo è un termine presente in Isaia, e evoca l’idea continua dell’annientamento e della distruzione.

«Fin quando, o Signore?» canta il profeta. E Dio risponde «Finché ci sia la Shoah».

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